I GIOCHI DELL’AUSTERITY

Londra quarant’anni dopo, Londra come simbolo della resistenza al nazismo. La scelta della sede delle Olimpiadi del 1948 parve come la più logica, nonostante la concorrenza di altre candidate. Fu bravo Lord Burghley a tessere la rete di relazioni che lo portarono a perorare la causa britannica a Stoccolma da Sigfrid Edström, reggente del Comitato Olimpico, successo a Henri Baillet – Latour, morto nel 1942. Nel marzo 1946 Edström venne eletto Presidente del CIO e Londra ottenne i  Giochi Olimpici.

Austerity fu la parola d’ordine che gli organizzatori imposero, in un tempo di razionamenti di cibi e vestiario. Non ci furono nuovi impianti, ma l’utilizzo di strutture già costruite, come il mitico Empire Stadium, noto come Wembley, nel quale fu soltanto ripristinata la pista di atletica. Il Tamigi e il parco di Windsor furono sfruttati rispettivamente per il canottaggio e il ciclismo. Il nuoto per la prima volta fu disputato in una piscina al coperto, l’Empire Pool. Il villaggio olimpico prese in prestito, se così può dirsi, alcune caserme dell’esercito e ci fu una vera e propria gara di solidarietà da parte degli Stati per fornire i viveri necessari alla Gran Bretagna. Giappone e Germania non furono invitate, grande accoglienza ricevette l’Austria, vittima e non carnefice della mattanza. L’URSS invece declinò ancora l’invito. Le rappresentative che vi presero parte furono in totale 59. I Giochi della XIV Olimpiade iniziarono il 29 luglio con la dichiarazione di apertura di Giorgio VI, in un caldissimo pomeriggio, parentesi alle piovose giornate di pioggia, messe lì quasi a voler purificare tutta la tragedia umana. Di tragedie è stata protagonista una mammina olandese di trent’anni che a Londra prima di stupire il mondo, stupisce se stessa. Fanny Blankers Koen vinse quattro dei cinque ori della compagine olandese. Fu prima, con tanto di primato olimpico, nei 100 m, 200 m e negli 80 m a ostacoli. Con una memorabile rimonta riuscì a vincere la staffetta 4×100 e a consegnarsi all’immortalità come la Mammina Volante. Il medagliere dell’atletica restò ad appannaggio degli USA che conquistarono 12 ori. Tra questi ricordiamo l’oro di Dillard sui 100, metri con primato olimpico di 10’’3, e di Melvin Patton sui 200 m che confermarono gli Stati Uniti ancora ai vertici delle gare veloci. La Finlandia perse il suo ruolo di leader nelle gare di mezzofondo dopo tante edizioni ai vertici. Ciononostante, il giavellotto fu vinto ancora da un filandese, Tapio Rautavaara, a testimonianza dell’assoluta supremazia della scuola finnica.

A Londra fece il suo esordio un militare dell’esercito cecoslovacco. Personaggio singolare, sgraziato nell’incedere, viveva ogni giro di corsa come se fosse un’interminabile agonia, uno sforzo sull’orlo dello sfinimento e della sconfitta. Come se la corsa fosse una pena insopportabile. Ma da quella sua fatica Emil Zatopek ne usciva spesso vincitore. Vinse i 5000 davanti al suo rivale di sempre, il francese Mimoun e divenne per tutti la Locomotiva Umana.

Anche l’Italia ebbe le sue gioie nell’atletica. Il merito fu di un ragazzone buono, Adolfo Consolini, che batté gli  avversari e l’ostracismo del pubblico britannico, non proprio contento di veder competere l’Italia, la cui posizione dopo la guerra era considerata ambigua. Alla fine non poterono non innamorarsi di quel ragazzo che conquistò l’oro e che sul podio fu accompagnato da Giuseppe Tosi, splendido argento. La staffetta 4×100 si piazzò al terzo posto, dietro a Stati Uniti e Gran Bretagna. Delfo Cabral riportò il titolo olimpico in Argentina, sedici anni dopo l’impresa di Zabala, nella gara in cui Étienne Gailly, bronzo, rinnovò il dramma di Dorando Pietri.

Nel nuoto non ci fu storia.

Senza i temibili giapponesi, gli americani fecero man bassa conquistando 8 degli 11 titoli in palio. Una dittatura a cui si opposero le danesi Greta Andersen nei 100 m sl e Karen Harup nei 100 m dorso e l’olandese Petronella van Vliet.

A Londra nacque il mito del Settebello, al suo primo oro, che vinse il girone finale davanti ai fenomeni dell’ Ungheria e ai Paesi Bassi.

Finito il ciclo d’oro del calcio italiano, che a Londra iniziò un periodo di crisi, in Svezia si affermò una generazione di fenomeni tra i quali spiccarono Nordahl, Gren e Liedholm, il mitico GRENOLI, forse il primo acronimo di fuoriclasse della storia del calcio, che farà la fortuna del Milan negli anni 50. In finale gli svedesi sconfissero la Jugoslavia per 3 a 1 con la doppietta di Gren e il gol di Nordhal.

L’Olimpiade dell’Italia si confermò sui livelli delle precedenti e, considerando il maggior numero dei partecipanti, il risultato fu più che soddisfacente. Con 8 ori, 11 argenti e 8 bronzi ci piazzammo al quinto posto del medagliere. Le gioie vennero ancora dal canottaggio dove cogliemmo l’oro nel Quattro senza. Nel ciclismo Mario Ghella vinse la gara di velocità e fu oro il tandem Terruzzi e Perona. Deluse in parte la scherma, a segno con Luigi Cantone nella spada. Pugni d’oro furono quelli di Ernesto Formenti nei pesi piuma e Pietro Lombardi vinse l’oro nella lotta greco – romana nei pesi mosca.

Facile fu la riconferma degli Stati Uniti con 38 ori, davanti alla Svezia, alla Francia e all’Ungheria. Delusero i padroni di casa della Gran Bretagna, che si piazzarono fuori dalle prime dieci posizioni del medagliere.

Dopo dodici anni, i Giochi ripartirono nel segno di una pace che, seppur in bilico sul sottile filo della minaccia nucleare, ridiede speranza e uno spirito di solidarietà sconosciuti.