Un altro contributo di Mauro Ceruti

Per capire meglio il pieno valore ermeneutico di una idea, possono essere d’aiuto indicazioni provenienti  da più parti e presenti,  ad esempio, in Charles Baudelaire  che riteneva che ‘ogni idea è, di per sé, dotata di vita immortale, come una persona” col mostrare nel tempo, pertanto, più volti che vanno pazientemente ‘attesi’ nel senso di Simone Weil; una di queste idee ‘immortali’ è la complessità  che ha scandito sempre la nostra storia  e che per varie ragioni è stata tenuta in modo arbitrario chiusa in quelle vere e proprie ‘prigioni dello spirito’, come le chiamava Hélène Metzger, che sono le visioni riduttive del reale i cui esiti distruttivi hanno raggiunto il loro massimo nel corso del Novecento col continuare ancora in quello in corso. In questi ultimi decenni, per usare dei termini dello scrittore colombiano Nicolás Gómez Dávila, essa prima è arrivata ad ‘assaltarci’ sotto la spinta di eventi inediti e di natura sempre più globale, poi ‘a rivelarsi’ nel senso di farci faticosamente prendere coscienza sulla nostra pelle che molti dei problemi che viviamo   sono il risultato del  fatto che come uomini abbiamo allegramente danzato con la realtà che ci circonda con le becere logiche della semplificazione; invece  da diverso tempo si è reso necessario mettere in atto una strategia cognitivo-esistenziale  basata sulla ‘danza della complessità’ da costruire col fare nostre le ragioni  del mondo e dare una voce concreta ai suoi ‘strazi’, come li chiamava Pierre Teilhard de Chardin, che se avvertiti con adeguate antenne portano a tracciare nuove rotte sia nel campo del pensiero che in quelle dell’azione. Essa ha introdotto un nuovo ritmo nelle cose dell’umano tale da non poter  più ‘giudicare pazzi’ coloro che la danzano da parte di quelli che non sono in grado di ‘sentirne la musica’, per parafrasare uno dei tanti aforismi di Friedrich Nietzsche.

Su tale binario si è mossa l’intera esperienza di vita e di pensiero di Mauro Ceruti nel dare voce organica al bisogno da più parti avvertito di comprendere diversamente dal passato le logiche pluriarticolate del nostro mondo con l’avvalersi dei risultati  raggiunti nell’ambito delle scienze dei sistemi complessi  e con il collaborare strettamente con  scienziati al lavoro  come Ilya Prigogine.  Francisco Varela e H. von Foerster e con filosofi della statura di Edgar Morin, figura con cui sono stati portati a termine vari lavori; non  a caso è stato dichiarato ‘un Maestro del nostro tempo’ nel ricevere nel 2022 il Premio internazionale Nonino, oltre al fatto di vedere che le ultime encicliche di Papa Francesco, come la Laudato sì e Fratelli tutti,  sono in perfetta sintonia col suo percorso, avuto inizio nei primi anni ’80 con lo storico e ormai classico volume curato con Gianluca Bocchi, La sfida della complessità, che ha segnato una vera e propria svolta nel campo filosofico-scientifico col dare così via all’epistemologia della complessità. Ed in occasione del suo collocamento a riposo dall’attività universitaria, un gruppo di studiosi italiani, appartenenti ad ambiti diversi, e non solo come ad esempio Walter Veltroni e Anna Finocchiaro,  che nel corso dei loro percorsi si sono abbeverati a quella vera e propria fonte di Siloe che è stato ed è il suo non comune pensiero per aver stimolato come afferma Morin nel suo contributo ‘un ampio dibattito internazionale’, non potevano esimersi dal tributargli un doveroso omaggio  con degli scritti apparsi nel volume  La danza della complessità. Dialoghi con la filosofia di Mauro Ceruti, a cura di Francesco Bellusci e Luisa Damiano (Milano-Udine, Mimesis, 2023).

Preceduto da  ampi saggi introduttivi da parte dei due curatori che ne evidenziano le articolazioni, i debiti verso i protagonisti delle scienze dei sistemi complessi e gli sviluppi nel dare forma  organica  al cosiddetto pensiero complesso  nel tracciarne inediti sentieri, il volume permette di cogliere la profondità di un itinerario di ricerca che travalica gli orizzonti cognitivi, come ogni sano discorso filosofico, per approdare e debordare nell’analisi della condizione umana e del suo destino, ormai problemi strettamente sempre più intrecciati con  quelli dell’intero pianeta; in tal modo, come sottolinea Morin, possiamo sentire Mauro Ceruti nostro ‘spirito fratello’ in quanto ci aiuta  da un lato a comprendere sino in fondo che l’umanità attuale, non a caso chiamata ‘quarta umanità’ in diverse opere, è la prima, grazie alla non facile metabolizzazione dei risultati delle scienze del vivente,  ‘ad essere consapevole del tempo profondo’ e dall’altro a dover assumersi ‘una decisiva responsabilità nei confronti della natura’ per la nostra ‘stessa sopravvivenza’. Per questo seguendo Morin, si può dire che ‘è uno dei rari pensatori del nostro tempo ad avere compreso e raccolto ‘la sfida che ci pone la complessità dei nostri esseri e del nostro mondo’; nei diversi lavori di Ceruti c’è, pertanto, un invito costante a disinfettare le nostre menti dai punti di vista riduzionistici sempre in agguato, a ‘stanare il paradigma nascosto della semplificazione’ per fare nostra la complessità nel ‘dover pensare l’uno ed il molteplice’, aspetti che caratterizzano la nostra vita sia individuale che collettiva e quella dell’intero pianeta.

Ma una idea coltivata a lungo, arata nelle diverse pieghe sia della vita che del pensiero, non può non manifestare tutta la sua intrinseca ricchezza concettuale in mille rivoli col mostrare uno dei suoi tanti volti, quello della sfinge, come evidenzia acutamente Francesco Bellusci nel suo contributo;  grazie a Ceruti, possiamo far fonte insieme come comunità planetaria a quella che chiama ‘complessità-sfinge’, cioè al fatto che ciò che ci circonda diventa sempre più enigmatico e dilemmatico sino a spronare ‘il pensiero con la sua energia vitale’ a trovare in essa più ‘linfa’ per affrontare  adeguatamente le diverse sfide epocali che ci attendono.  Se il pensiero della semplificazione, o meglio il suo non esserlo, porta all’odio e alle separazioni, pensarci come esseri complessi ed immersi in un mondo sempre più interdipendente, e dipendente nello stesso tempo dalle nostre scelte, è certamente una sfida nel senso che apre all’imprevedibile, all’incertezza e al dubbio, doti che fanno parti costitutive dell’essere uomini e riconquistate  dopo secoli di lotta, come ha scritto Richard P. Feynman; è un percorso che  ‘si riscatta con la conquista del tessuto comune’ con l’offrirci quel dono razionale che è la complessità da custodire e da non disperdere come caratteristica strutturale del nostro tempo. Per questo diventa ‘cruciale per il futuro dell’umanità, la sfida di abitarla’, di viverla nel contesto in cui si opera, di farla diventare  programmaticamente nostra alleata per aver messo  in atto quella che Mauro Ceruti ha chiamato in un’opera del 1989  La danza che crea, la danza con le logiche del mondo grazie alle quali possiamo  cambiarlo col cambiare in primis noi stessi se riusciamo con le nostre forze ad entrare in sintonia con le sue musiche incrementando in tal modo la possibilità di un paradigma condiviso.

Sul strategico significato che ha assunto nel suo percorso col vederne l’attualità tale fondamentale idea, si sofferma in particolar modo Luisa Damiano nello  sviluppare una indicazione di Francisco Varela, presente nella prefazione del 1989 a La danza che crea, a sua volta abbeveratosi al pensiero di Ceruti col creare una non comune circolarità ermeneutica tra esperienze di pensiero,  quella di ‘previsione creatrice’ tale da assumere un ruolo trainante in quella che viene considerata ‘epistemologia del tempo’, tempo irriducibile a punti di vista normativi la cui continua ‘contemplazione pur nel suo mistero è la chiave della vita umana’ e punto di partenza di un nuovo percorso, come ci indica Simone Weil. Nelle diverse opere che hanno costellato il suo percorso,  si assiste in ogni piega all’emergere di una vera e propria ‘arte della previsione creatrice’ dove la complessità-sfinge esprime molteplici potenzialità emergenti che mettono in moto un processo temporale  dove ‘il prevedere è inseparabile dal creare’ con una implicita  tensione strutturale ed ‘una curvatura genealogica orientata al futuro’, basata su nuove alleanze strategiche a dirla con Prigogine  tra ‘la storia degli uomini, delle loro società, dei loro saperi e l’avventura   esploratrice della natura’. Ed il percorso di Ceruti viene così a sostanziarsi di un’altra non secondaria articolazione, quella di una’ epistemologia della co-evoluzione’ e di una ‘epistemologia dell’identità aperta’, percorsi che non potevano non approdare alla stessa ’epistemologia della responsabilità’, chiave di svolta per dare corso a quello che viene chiamato da più parti ‘nuovo Antropocene’, dopo i disastri provocati proprio dal fatto che è stata misconosciuta la complessità;  il tutto è frutto di un costante lavoro sull’evoluzione globale dove dal ‘paradigma tradizionale  di caso e necessità’ si passa ‘al paradigma di vincoli e possibilità’, base di una diversa relazione tra uomo e natura grazie all’’identificazione dell’impresa scientifica come processo naturale nella natura -movimento aperto e creativo in universo aperto e creativo’.

Ed è questa connotazione euristica proiettata verso un futuro aperto in più direzioni, risultato dell’idea  della ‘danza che crea’ grazie allo sfruttare la ‘linfa vitale’ della complessità-sfinge col portare in sé come sano dono razionale, che si rivela essere proficua nei vari ambiti, ma è tale perché è forte di  basilari tensioni cognitive ed esistenziali insiti nel percorso di Mauro Ceruti che è riuscito così a dare  una organica voce a bisogni avvertiti a più livelli ed in diverse direzioni. E non a caso ha permesso a chi ha frequentato il suo pensiero di arrivare  in ogni contesto a modificare, a volte anche in modo sostanziale, la propria prassi sia di vita che di pensiero, come testimoniano i  contributori di tale volume, operanti in diversi settori sia teorici che operativi col creare altre ‘danze’ che  possano coinvolgere altri. L’immortale idea di complessità nel rivelarsi come ‘sfinge’, che tra l’altro a dirla con Conrad Waddington ‘tende a crescere più rapidamente del numero di elementi coinvolti’, si avvale di due fattori o principi, ricavati dal capirci come esseri viventi, da un lato ‘la vita va compresa all’indietro’ e dall’altro ‘si vive in avanti’ su cui si è soffermato in particolar modo Søren Kierkegaard; se coniugati insieme e potenziati dell’apporto del più sano pensiero filosofico-scientifico, come ha fatto Mauro Ceruti, ci permettono di arrivare ‘all’idea della persona come sistema complesso metastabile’, come chiarisce Silvano Tagliagambe nel suo contributo col ritenerla anche strategica nella comprensione della ‘natura dei soggetti collettivi’, nel manifestarsi come un vero e proprio ‘laboratorio’ per essere ancorata al presente e nello stesso tempo lanciata verso il futuro, opzione che permette di capirne gli intrecci e che si rivela sempre più strategica per cogliere la portata dei processi di ‘globalizzazione in atto’ e per non esserne travolti.

Con tale danza del tempo che scandisce la stessa persona, cioè ognuno di noi ed il  tempo che viviamo, possiamo scoprirci come un insieme di eventi possibili, come esseri in grado di vivere legati a dei vincoli, ad una storia e nello stesso tempo di essere sempre sulla ‘soglia’ nel senso di Simone Weil, cioè ‘in attesa’ di un altro nuovo percorso da costruire e fare emergere con le nostre stesse mani; e tra i doni razionali che porta con sé l’idea di complessità-sfinge,  frutto di un non comune ‘travaglio dei concetti’ come lo chiamava Federigo Enriques e messo in campo da Mauro Ceruti nell’assegnare alla filosofia sulla scia di Maurice Merleau-Ponty, come afferma Francesco Bellusci, l’arduo compito di addomesticarla col farla diventare insostituibile compagna di vita, è proprio questa capacità di farci assumere una volta per tutte le nostre responsabilità nel disegnare le linee portanti   della ‘quarta umanità’ e di esserne la levatrice. Il percorso di Mauro Ceruti si dimostra, pertanto, ricco di articolazioni e di diverse nuances che ogni contributo in tale volume fa proprie col declinarle in vario modo; e pertanto,  non possiamo non fare nostra una delle tante indicazioni forniteci da quella straordinaria esperienza di vita e di pensiero di Pavel Florenskij che, da autentico pensatore dei confini evidenziato da Silvano Tagliagambe in diversi lavori su tale figura che,  pure nella vita del gulag,  continuava le sue ricerche e s’impegnava con tutte le sue forze a cogliere il senso delle cose e a gettare un seme di speranza per i suoi figli e per noi oggi: “l’aiuto dell’amico acquista una sfumatura misteriosa e cara al cuore e il godimento che ne ottiene è qualcosa di sacro”. Non a caso tale indicazione ha fatto da guida ad Angelo Vianello nel suo contributo come studioso di biochimica delle piante, ma può esserlo per tutti quando si incontra uno ‘spirito fraterno’ che ci aiuta a dar conto di quel ‘fuoco della verità’ che ci accompagna come uomini, per usare un’altra significativa espressione di Florenskij.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.