Il gigante nero che ha ridisegnato l’arcobaleno con tutti i colori della sua incredibile Vita.

Due numeri, 8 e 24, per definire, se possibile, le infinite combinazioni di una vita di successo, una vita che ti porta lassù in alto, le ali di chi schiaccia gli avversari con la stessa forza utilizzata per cestinare quel pallone da basket, le pale di un elicottero che fendono l’aria con un refolo di vento appena accennato, l’ultima folata, l’ultimo skill, l’ultimo stupore stampato nella commessura di un sorriso di spettatori attoniti.

Fra i tanti insegnamenti che il mio mentore, pigmalione e Direttore mi ha trasmesso c’è la raccomandazione ad evitare epitaffi biografici e sterili, banalità in cui un giornalista non dovrebbe mai cadere, parole scontate da non proferire, dolore da non strumentalizzare.

Una raccomandazione che Kobe Bryant faceva sua per natura, un’indole buona, l’amico di infanzia che tutti sentivamo vicino, una delle poche celebrità che rispondeva ancora “Bene grazie!” a chi gli chiedeva “Come stai?”

Non sono un appassionato di pallacanestro, quindi non starò qui a snocciolare titoli e record da comunicato ANSA, mi basta ripensare al suo addio dall’attività agonistica, un tour per tutti i Palazzetti del Mondo a prendersi gli applausi dei fans, la meritata passerella, il congedo di chi ha saputo incarnare i valori dello sport, di chi ha messo insieme, ancora una volta, i cuori per un unico obiettivo, il target da centrare per convincerci che la purezza di Kobe, forse, non ci apparteneva, anzi, era appannaggio di un’altra dimensione, l’etere che ci sovrasta senza contaminarci.

Non sono un esperto di pallacanestro, quindi non so dirvi in che squadre ha militato Kobe. Potrei cercarlo su Wikipedia ma correrei il rischio di cui sopra. So solo che il suo legame con l’Italia era forte, che il nostro legame con la sua anima sarà, da oggi, indissolubile. Stava raggiungendo la scuola di basket che aveva fondato, con lui c’era la figlia tredicenne Gianna Maria, un nuovo astro nascente, secondo i critici.

Mancano ancora pochi secondi e il suono stridulo della sirena incalza l’ultimo tiro, quello da tre punti, ma, stavolta, il cestino ha le sembianze di un’aureola, i Santi che confermano l’esistenza del Paradiso, il gigante nero che ha ridisegnato l’arcobaleno con tutti i colori della sua incredibile Vita.

Ciao, Kobe.


Articolo precedenteL’Emilia Romagna, che era già stata liberata…
Articolo successivoL’infinita scienza di Leopardi
Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.