Abbiamo intervistato Caterina Rebesani in arte Cate. È una giovanissima cantautrice romana: su YouTube la sua “La mia generazione” ( https://youtu.be/J6sjiLJ63XQ?si=L0NCUOXvOYxDtIY7 ) ha attirato la nostra attenzione: un testo sincero e ben scritto, di attualità.

Chi è Caterina Rebesani? Anni, dove vive, con chi vive? Cosa ha studiato e dove? Cosa ascolta, legge e guarda in TV o altrove? Persone importanti?

Caterina Rebesani è sempre stata “solo” Cate, a tratti Rebe. 19 anni, Roma, poi Bruxelles, e ora Milano, per studiare musica al Cpm Music Institute.

Ho sempre amato leggere qualsiasi cosa (dai fumetti ai saggi di filosofia, passando ovviamente per i romanzi), ascolto tutto, in particolare le parole. La tv non la guardo a eccezione di Sanremo (no comment, Sanremo è Sanremo). Al massimo qualche film al cinema o in streaming, prediligendo il comico socialmente impegnato (che non penso sia un genere realmente esistente, quelli della Cortellesi, per capirci). Con le serie tv ci ho provato ma richiedono troppa costanza.

Persone importanti fin troppe, prima tra tutte Ultimo, senza il quale probabilmente non solo non avrei mai scritto canzoni, ma non sarei neanche qui a raccontarlo. Racchiudere in poche righe cos’ha significato quel ragazzo per me è impossibile e insensato, è stato la luce in fondo al buio nei periodi peggiori e la colonna sonora dei migliori. La mia fonte principale di forza e di speranza, ispirazione pura. Altri punti di riferimento essenziali, Charlie Moon e Mostro. Se parliamo solo di musica invece, sono cresciuta con Jovanotti, Daniele Silvestri, De Gregori e Bennato. Dalla mia vita privata potrei nominare ogni persona per cui ho provato un sentimento forte, sia positivo che negativo che entrambi. Sicuramente la mia prima cotta (da cui “Manchi Tu”), il mio primo Amore (“SMN”) e la mia ragazza attuale (non sono ancora uscite, datemi qualche mese). Il mio amore per la lettura e la scrittura penso di doverlo alla mia maestra delle elementari, Gloria, mentre quello per la cultura ai miei (insieme a una serie inevitabile di traumi, ma sono serviti anche quelli).

La musica. Sono più potenti i sogni o il talento? Entrambi? E soprattutto perché tentare di essere è diventare un’altra cantautrice? Perché un’altra canzone sulla tua generazione? Scrivi e componi da sola?

Spero i sogni, perché il talento qua scarseggia. Sono nata stonata e sto ancora studiando. Però scrivo. L’ho sempre fatto (sia in prosa che in metrica), per esigenza. Non mi sono mai messa seduta a tavolino col pensiero “ora scrivo una canzone”. Non avrebbe senso. È quasi un vomitare su carta quello che sento e poi dargli una forma col piano o con la chitarra. Una volta fissate (nelle note vocali del telefono di solito) voce e chitarra o piano, le porto in studio da Enrico Caruso (in arte Beato) e ci lavoriamo. Lui è bravissimo e spesso capita di cambiare anche qualcosa a livello di testo, melodia o armonia. E poi fa produzioni, mix e master. “La mia generazione” è quella che è stata toccata meno in realtà. Scritta a matita su tre fogli pieni e accompagnata da tre accordi in croce (nella prima versione), è forse la canzone più cruda che ho. Parlo di me, della mia ragazza dell’epoca, dei miei amici, di persone con cui ho avuto la fortuna di poter parlare a lungo e in profondità. Sono tutte storie vere, spesso quasi citazioni.

Ti senti a tuo agio, compresa, nel tempo in cui viviamo? Nella tua canzone “La mia generazione” parli di incomprensioni, di un certo disagio, di aspirazione e desideri che sarebbe bello realizzare. Affermi che “cresciamo in una società ignorante… che condanna il diverso e non ha pietà di nessuno… che ci sia del buono nelle persone e che si possa rendere il mondo un posto migliore”. 

 

Quando ero un po’ più piccola (in piena adolescenza), ovviamente no. Ora va già meglio. Non so se mi sia adattata io crescendo, è possibile. Incompresi lo siamo tutti, forse per una nostra incapacità di esprimerci, o, peggio, di comprenderci davvero noi in primis. Sicuramente c’è del disagio. Se fino a qualche anno fa (quando ho scritto “La mia generazione”, nel 2020) c’era ancora molta fobia del diverso, ora c’è un ruffiano tentativo di esaltarlo. Siamo passati alla finta inclusività, quella forzata, che forse è quasi peggio. Però, nonostante tutta la merda (si può scrivere merda qui?) di cui parlo nelle strofe, nel ritornello affermo perché ci credo, che ci sia del buono nelle persone, che vada solo tirato fuori. Sarò un’idealista, forse un’utopista, ma io in un mondo migliore ci credo davvero.

Le tue paure? Sono più potenti le paure o l’amore per tutto quanto di bello, persone comprese, è rimasto al mondo? Cos’è l’amore?

Paure tante, amore tantissimo. Paura dell’amore, tanta. Amore per la paura, poco (per fortuna). La mia paura più grande è sempre stata quella di fare male. Se invece dovessi fare una top 10 delle cose che amo di più ci sarebbe sicuramente Vivere (non la vita, attenzione, diversissimo il concetto), il cibo, le persone belle che ho avuto la fortuna d’incontrare, il cielo, la musica, il mare, i libri, emozionarsi (in qualsiasi modo), innamorarsi, amare.

L’amore per me è quando mi fa più piacere dare a te l’ultimo boccone che mangiarlo io. E se è amore è coraggio, quindi dà la forza di affrontare tutte le paure. Superarle non sempre, dipende. Però le affronti.

Per amore della tua musica non pensi di dover mettere da parte, metterti da parte e sacrificare e sacrificarti?

È un tema complicato. Non penso che ci si possa sedere e fare a tavolino una lista delle proprie priorità e mettere idealmente su una bilancia tutto per capire cosa si è disposti a fare per qualcosa. Credo che nel momento stesso in cui sei di fronte a una scelta che comporti sacrificare una parte di te per un’altra, non ci sia ragionamento o calcolo logico che tenga, tu sai cosa vuoi. Il sacrificio non pesa se è una libera scelta, soprattutto se dettata dall’amore. Ho sacrificato vacanze, ore di sonno, anche rapporti, per la mia musica. Rifarei tutto.

Una canzone per cui ancora ti commuovi?

Tante, perfortuna. La prima che mi viene in mente è “Sogni Appesi” di Ultimo.

Una poesia preferita? Qualche verso lo condividi cortesemente con noi?

Poesia preferita in assoluto forse “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Ha una potenza assurda. Ma se devo condividere qualche verso con voi preferisco qualcosa di meno conosciuto, ad esempio, da “Accanto a un bicchiere di vino” di Wisława Szymborska:

“[…] cerco la mia immagine

sul muro. E vedo solo

un chiodo, senza il quadro […]”

Cosa cambia un brutto momento? Un sorriso, un abbraccio, un bigliettino, una dedica?

L’unica cosa in grado di cambiare davvero qualcosa, secondo me, sono i pensieri. Esprimibili in infiniti modi. A me trasmettono molto gli sguardi, o i sorrisi. Con le parole è difficile, perché sono interpretabili. Dopo la quarantena ho scoperto la potenza degli abbracci. Ma è molto personale come cosa. Sicuramente le canzoni.

Puoi dedicare qualche parola al nostro mondo? Fagli una dedica sulle pagine di www.odysseo.it 

Caro mondo,

Spero tanto tu mi possa e ci possa perdonare. Stiamo tutti cercando di fare il nostro meglio.

Con rispetto,

Cate

Ti auguriamo ogni bene e ti ringraziamo per questa intervista 

Grazie a voi 🙂 mi ha fatto tanto tanto piacere ricevere queste domande, finalmente qualcosa di originale e un po’ più profondo. Mi avete dato occasione di riflettere e di esprimermi liberamente, grazie. Spero che le mie parole possano fare lo stesso a qualche lettore. Un abbraccio.