Da “Like a virgin” a “Like a prayer”, antipodi di una vita che il pubblico riassapora nel sogno esistenziale di una fiammella mai spenta, il fuoco sacro che arde di animus pugnandie voglia di non mollare mai. Lo spettacolo “Il tempo di una canzone”, di Flaminia Chizzola, è stato portato in scena, sul palco di Palazzo Ducale, nella XXIV Edizione del Festival Castel dei Mondi, dall’attrice andriese Cecilia Zingaro la cui profonda leggerezza trascina tutti fino ad un inesauribile anelito di speranza:

Ciao Cecilia. Come si può quantificare “Il tempo di una canzone”, il tuo ultimo spettacolo?

Ehhh…”Il tempo di una canzone” è quel tempo che può sembrare un attimo ed invece è l’eternità!

Ti è piaciuta come risposta? Scherzi a parte, non voglio “filosofeggiare”, ma in realtà è difficile risponderti senza attingere alla filosofia. Perché tutto lo spettacolo è improntato su una indagine creativa di un “non -luogo” che è lo spazio della mente nello stato di semi-coscienza o di incoscienza. È un “non-luogo”

che quindi non può essere governato dalle leggi del tempo e dello spazio. Infatti già all’inizio dello spettacolo Maria ricerca nella sua mente le parole e i ricordi e parla di una “forza di gravità” che nei sogni non funziona, ed è proprio questa assenza di forza di gravità e di regole spazio-temporali, è proprio questa “sospensione della logica” che ci permette di volare in un sogno e farci un viaggio, nella mente, nei ricordi e nei sogni dell’immaginazione di Maria.

Nessuno sa veramente che cosa accade nella testa delle persone nello stato di coma (incoscienza) o semi coscienza, in questo caso l’autrice Flaminia Chizzola, fa un’operazione creativa libera e coraggiosa, che va a risvegliare le paure più recondite dello spettatore che si ritrova improvvisamente a scegliere tra vita e morte, come se si potesse veramente scegliere.

Quale rapporto lega Maria alla musica e, in particolare, alla popstar Madonna?

Per Maria la musica è la vita e Madonna è il sogno a cui è aggrappata che le dà la motivazione di resistere e di lottare contro la malattia per tornare a vivere. Questo è l’aspetto che più mi interessa di questo testo: la lotta di una persona che si aggrappa ad un sogno per sopravvivere. È la storia di una lotta.  Aldilà del dibattito etico, credo che la cosa più importante sia raccontare con che stato vitale si affronta una lotta che ha a che fare con la vita, indipendentemente dal finale che è già scritto ed è uguale per tutti.

Nel buddismo c’è una parabola che parla del “miraggio”: più il pellegrino insegue il miraggio e più il miraggio si allontana, ma quando si gira, il pellegrino si rende conto che grazie a quel miraggio, ha concretamente percorso tanta strada, anche se non è mai riuscito a raggiungerlo.

Madonna è, per Maria, “il miraggio” che le permette di resistere e sopravvivere per 20 anni.

Dj Fabo, Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli, Eluana Englaro, Mario Fanelli. Walter Piludu, fino ad arrivare alla nostra concittadina Nunzia Catalano, madre di Emanuele e co-autrice di “Ricordati di svegliarti. Diario di lotta e di attesa”. Quanta speranza si cela dietro leggi asettiche quali DAT e biotestamento?

Più che di speranza parlerei di libertà e compassione. Siamo in un paese di formazione “cattolica”, che per quanto laico, ha delle profonde radici culturali cattoliche. Anch’io, che sono buddista da più di 18 anni, mi ritrovo spesso a confrontarmi con la mia formazione cattolica, ma l’evoluzione  ed il miglioramento hanno origine dal confronto di posizioni opposte, talmente estreme da “toccarsi”.

E il punto di incontro tra queste posizioni estreme in questo dibattito penso siano la compassione e la libertà di scelta. Come ti dicevo, anch’io sono di formazione cattolica, ma studiando per questo spettacolo ho avuto l’opportunità di approfondire le ragioni di un punto di vista diverso dal mio, e grazie a questo confronto mi sono ritrovata ad arricchire il mio punto di vista. Ti confesso che mi è venuta anche voglia per un istante, di fare un altro spettacolo, dopo questo, per continuare ad approfondire questa tematica importante dal punto di vista opposto.

Sono convinta che alla base di entrambe le scelte ci sia la compassione. Entrambe le scelte hanno pari dignità e la compassione è il punto di incontro tra le due scelte estreme.  Sia chi decide di stare accanto ad una persona in stato vegetativo per anni e sia chi decide per il biotestamento e il non accanimento terapeutico, è mosso dallo stesso rispetto e compassione per la sacralità della vita. Non c’è differenza nell’intento, nel “cuore”, con cui si prende una decisione oppure l’altra. Sono scelte non giudicabili e di pari dignità.

Credi che l’intento ultimo de “Il tempo di una canzone” sia quello di schierarsi o, invece, di lasciare lo spettatore in quel limbo di incertezza tipica di ogni esistenza umana?

Ho discusso parecchio con l’autrice a riguardo, proprio perché penso non sia giusto schierarsi, o almeno io, come attrice e regista, sto cercando di non farlo, ma di occuparmi solo di un’esplorazione artistica e creativa. Come ti dicevo prima, entrambe le scelte hanno pari dignità e non sono giudicabili.

Quello che sto cercando di fare io, come artista, non è prendere una posizione o schierarmi. Non sono nessuno per farlo, penso che si possa solo “rispettare” chi si trova di fronte a questo dilemma.

Quello che sto cercando di fare io, è di risvegliare la funzione catartica del teatro, come avviene nelle tragedie greche. Anche se il paragone può sembrare pretenzioso, lo uso perché penso possa essere utile alla spiegazione. La cosa che mi interessa di più di questo testo non è lo schieramento, ma la lotta per la vita aggrappandosi al sogno e soprattutto la sincerità con cui si affronta la paura della morte.

Ad un certo punto nel finale, ci si ritrova di fronte alla morte. La morte è un tabù, non ne parliamo mai perché ci spaventa e ci terrorizza.

L’autrice mette in scena un incubo che penso sia recondito in quasi tutti gli esseri umani e che può essere sintetizzato in: “E se poi mi risveglio?”, “E se poi mi risveglio quando sarò nella bara o nel forno crematorio o attaccato ai macchinari un istante prima che siano staccati?” Credo che questi siano pensieri e paure universali che riguardano tutti gli esseri umani che si confrontano con la morte. Il coraggio di questo testo sta nell’affrontare queste paure ed incubi con sincerità e coraggio, seppur nella propria fragilità, per poi fare un salto “catartico” rispetto a queste paure, e lasciare lo spettatore più ricco, anche se talvolta attonito, perché ognuno porterà a casa la propria risposta e la propria esperienza.

Voglio citare una mia maestra cara, Anna Marchesini, che pochi mesi prima di morire rilasciò questa intervista da Fabio Fazio in cui disse “Sono così interessata, appiccicata, morbosamente ghiotta, obesa di  vita, che mi interessa pure la morte, che di essa è il finale e non è detto…” Questo è l’intento dello spettacolo, superare la paura della morte per percepire che la vita è un tutt’uno, è una melodia, una musica fatta di note e di silenzi…e per fare una melodia sono necessari entrambi. I momenti di quella che noi chiamiamo “vita” sono le note, e le pause e i silenzi sono i momenti di “non-vita”(o morte). La melodia nasce dalla fusione di momenti di suono e di silenzi. In questo senso il ciclo di vita e morte è paragonabile alla musica. La vita sono le note, la morte è semplicemente il silenzio.

Il crescendo finale del tuo spettacolo ha lasciato il pubblico senza fiato e visibilmente commosso. Ancor più toccanti sono apparse le tue lacrime durante i lunghissimi minuti dell’applauso finale. Ti va di parlarcene?

Non so molto che dire. Lo spettacolo è un’esplorazione, un’esperienza unica che tutte le volte cambia anche se il testo è uguale.  Lo spettacolo è una condivisione irripetibile tra attori, pubblico, tecnici e lo facciamo tutti insieme, anche se in scena a “dirigere” le emozioni c’è solo l’attore. La storia è particolarmente toccante ed il finale è tutte le volte una grande sfida per me. Riviverlo tutte le volte con generosità, cercando di “offrirlo” come catarsi, è una grande sfida.

Non basta la tecnica, ma ci vuole una motivazione in più e un amore speciale per questo testo per trovare il coraggio di riviverlo tante volte. Quando funziona, accade che tutti piangiamo o che la catarsi avvenga solo per metà e poi uno continui a piangere pure dopo… Posso dire che per me recitare ad Andria, che è il mio paese di origine, è sempre un onore ed un’esperienza che non ha prezzo.