“Intendo prendermi cura di qualcuno, provare ad amare. Disinteressatamente. Il sentimento dell’amore va coltivato”
Capelli biondi, come quelle materni, ma ricci, simili ai ghirigori della chioma paterna. Un mento volitivo e degli occhi che guardano in profondità, lontano, resi aguzzi dalla scuola steineriana che Ada frequenta dall’età prescolare in Svizzera dove i genitori si sono trasferiti, appena laureati, in ingegneria informatica, lui, in chimica industriale, lei.
Molte, le amiche e gli amici nella scuola con cui parla tedesco. La lingua italiana fa la comparsa in casa con i genitori, al cellulare con i nonni dimoranti in Puglia e a fine settimana o durante le vacanze in montagna e al mare con i figli di amici italiani.
Dall’età di sei anni è alle prese con il solfeggio ed i tasti del pianoforte suonato nella sua stanzetta, insonorizzata dopo che i vicini di casa si sono lamentati per le musiche che disturbavano l’ascolto della televisione perennemente accesa.
Due volte la settimana frequenta una scuola di danza, ed il fisico ne beneficia per la padronanza, l’agilità e disinvoltura con cui il corpo si destreggia nel bosco della scuola che frequenta, priva di banchi, lavagne e giudizi o quando raggiunge il vicino parco di candide betulle.
I suoi genitori l’amano, e lei ricambia il loro affetto generosamente facendo affidamento sulla spontanea empatia che sgorga a fiotti dalle parole e soprattutto da gesti, sguardi, postura, carezze, sorrisi. È, insomma una bambina felice, ¿Che cos’altro potrebbe desiderare dalla vita? Non appena apre bocca subito i genitori le comprano… libri, giornali a fumetti, dischi, congegni elettronici. La portano al cinema, teatro. Ma c’è qualcosa che le rode anima da anni.
Oggi è sabato, i suoi genitori non vanno al lavoro. Sono già ambedue in piedi per preparare la colazione, a base di succhi di frutta, yogurt, kefir, croccante muesli a base di avena ed orzo. Saluta, dopo essersi infrescata sotto la doccia, bacia i suoi cari e prendendoli per braccio li fa sedere. “La colazione può aspettare, mamma, papà! È presto per la scuola. Voglio parlarvi.” Sussurra con la consueta gentilezza.
Si guardano con occhi interrogativi i genitori, sorridono, intanto, e con curiosità si siedono aspettando che la loro figliuola riveli quel che ha da dire. Entra subito in argomento, la piccola. I suoi occhi, sempre luminosi, costringono quelli materni paterni a lasciarsi coinvolgere. Il tono della voce diventa perentorio.
“Voglio un fratello o una sorella! Subito! Sono stanca di aspettare. Tutti i miei amici hanno fratelli e sorelle. Se non è possibile, adottate un bambino o una bambina. Non mi importa di quale nazionalità sia o che pelle abbia. Ho bisogno di qualcuno a cui badare. E se proprio non…, almeno donatemi un cane.
I genitori, Alfredo e Maria sono pensierosi, un fulmine a ciel sereno in casa, e, per quanto facciano per nascondere la loro perplessità, non riescono a recuperare la serenità, la spontaneità con cui sempre si rapportano con la figlia. Pensavano di aver dato tutto, anche il superfluo. Solo quando l’uscio della casa si chiude e i saltellanti passi della bambina risuonano per la scala, solo allora i due coniugi si guardano con occhi interrogativi.
Domenica mattina. Ada si alza prima del solito. Per lei è un giorno particolare. Ha dormito bene la notte. Spera che i genitori prendano una decisione saggia, vuole dare una svolta alla sua vita. Anche se in apparenza sembra appagata, avverte che l’esistenza è vuota, priva di senso. Vuole imparare ad amare qualcuno che ha bisogno di lei.
L’estrattore dei succhi di frutta ha già riempito i bicchieri di aranciata, carote, ananas e sedano. Le friselle infiocchettate di pomodori e cosparse di olio ed origano aspettano di essere addentate. Le confezioni di kefir pazientano sulla tavola, ricoperta da una bella tovaglia floreale.
Alfredo e Maria di guardano negli occhi. Faticano ad esprimere la loro decisione. Alle fine, insieme dicono: “Domani, in un negozio di animali sarà esaudita la tua richiesta.” È la risposta che meno si aspetta, Ada. Abbozza un sorriso, inghiotte il boccone che già è intriso di ptialina e… “Grazie, mamma, grazie papà”.
Nel pomeriggio del giorno seguente raggiungono, tutti e tre un negozio di Costanza fornitissimo di animali, curatissimi. Pettinati. Profumati. Ada passa in rassegna tutti i cani, ciascuno prezzato e munito di certificato genealogico. Nessuno le ispira fiducia, simpatia, sono artefatti, cani-giocattolo. “Andiamo al canile municipale”, propone ai suoi.
In una gabbia vede un cucciolo, malridotto, sofferente. Ne rimane fulminata. “Quello voglio” dice con piglio. Lo prende in braccio, lui le fa moine, scodinzola, la lecca. I genitori sono contenti di vederla felice.
Raggiunta la villetta familiare, Ada, circospetta, sussurra all’orecchio del suo amichetto: “Quando diventerò mamma, metterò al mondo due figli, altri due li adotterò. E un tuo cucciolo vigilerà.” Scodinzola lui, sembra che abbia capito.
“Sai,” aggiunge, “ho molte amiche ed amici. Non mi manca la compagnia. Non mi sento sola, come molti pensano. Però, avverto la mia pochezza. Sono frustrata. Sono sommersa da divagazioni, esperienze, sensazioni, idee. Tante. Faccio mille cose. Che in fondo non valgono niente. Semplice smalto sul nulla.
È giunta l’ora di mettermi alla prova. Essere me stessa, rifuggendo dal conformismo dilagante. Dall’assuefazione, dall’avvizzimento. Intendo prendermi cura di qualcuno, provare ad amare. Disinteressatamente. Il sentimento dell’amore va coltivato. Da quando si è piccoli, altrimenti c’è il rischio che non sbocci mai. Ed io non voglio avere una vita vuota. Insignificante”. Le orecchie del cucciolo sono tese, la coda è immobile. Sembra che rifletta. Col cuore. Anche lui.