Con Vittorio Continelli, al termine dei suoi sei appuntamenti con Discorso sul Mito.

Con Vittorio Continelli, al termine dei suoi sei appuntamenti con Discorso sul Mito.

Ultimo appuntamento con il Mito. Dopo sei interessanti incontri con l’attore teatrale Vittorio Continelli, abbiamo deciso di incontrarlo per avere delucidazioni in merito alle ”storie” da lui così sapientemente raccontate. Un excursus divino, insomma, la retta che attraversa e unisce i puntini di essere umani basiti dinanzi alla magistrale interpretazione di un artista a tutto tondo.

Al di là della definizione classica, cosa rappresenta “il mito” per Vittorio Continelli?

Un modo per provare a raccontare la contemporaneità. Servendomi del mito, racconto quel che mi sta intorno, cerco di interpretarlo e di comprenderlo. C’è di buono che dentro le storie che racconto non c’è mai soltanto un punto di vista: il mito è un pozzo profondo.

Cantastorie-attore-cantastorie. Sembra che tu abbia abbracciato un ritorno al passato. Come si è evoluta l’arte recitativa nel corso dei secoli?

È una domanda complessa e meriterebbe più spazio di quello che ci è concesso. Sorvolando sul come si sia evoluto il mestiere dell’attore nei secoli, non credo di essere rappresentativo dell’intera categoria, gli dèi ce ne scampino! Io racconto storie, da sempre, da quando ero bambino e, a un certo punto della mia vita, completato un percorso di studio e formativo, intrapresa una strada professionale, mi sono ritrovato di nuovo a raccontare storie, tutto qua. Storie che amo, storie che credo abbiano un valore profondo ed elevato insieme. L’idea poi di incontrare il pubblico in luoghi che non siano gli edifici teatrali è vecchia quanto il teatro moderno, appartiene alla storia del nostro continente e credo che, con buona pace dei puristi, non ce ne libereremo mai. E menomale.

Ho personalmente apprezzato la love story tra Eco e Narciso. Mi ha incuriosito, in particolare, la potenza della cosiddetta “vox populi”. Credi che il vulgare passaparola abbia inciso sulle storie che conosciamo oggi? Il pettegolezzo può essere esteso al qualunquismo, ad esempio, della nostra classe politica?

Rispetto alla prima parte della domanda mi sento di dire che la tradizione orale, unita al sincretismo, abbia influito moltissimo sulle storie che noi leggiamo o ascoltiamo da duemila anni a questa parte – la favola di Narciso ed Eco raccontata da Ovidio è stata scritta più o meno duemila anni fa. Ogni racconto è costituito da spostamenti millimetrici nella narrazione e le versioni sono innumerevoli. Sull’aspetto della questione legato alla classe politica non so che dire, mi pare siano argomenti un po’ distanti.

È indubbio che regni sovrana la confusione ideologica. Pensi che, rispolverando il passato, si possano recuperare concetti di uguaglianza e giustizia, oppure il conflitto tra Metis e Caos è destinato a sopravvivere nel e con l’essere umano?

Credo che noi ragioniamo servendoci di categorie (anche politiche) in perenne conflitto e trasformazione. Proprio per questo è difficile cogliere i cambiamenti in atto nel momento in cui avvengono. Ribalto la domanda: uguaglianza e giustizia? In quale passato?

La diffusione dei social nework ha evidenziato l’importanza di intrecciare relazioni spesso solo virtuali. Quanto contano le “conoscenze” per un attore? Pensi sia possibile affacciarsi al mondo del lavoro senza raccomandazioni e, soprattutto, lontano da invidie come quelle tra Atena e Aracne?

Le relazioni personali sono importanti in ogni ambito, servono a confrontarsi a dialogare. Altra questione sono i casi in cui le relazioni personali danneggiano il merito, credo che la domanda si riferisse a questo aspetto della questione. Per un attore, per un teatrante, è fondamentale intrecciare relazioni politiche se vuole stare e sopravvivere all’interno di un sistema istituzionalizzato. In caso contrario si sopravvive comunque, si va in scena lo stesso.

Ci hai raccontato di come Diomede abbia fondato la nostra città. Cosa pensi di aver regalato e di aver ricevuto dal pubblico andriese?

Il mio rapporto con la città risale a molti anni fa. Andria è una città che mi ha accolto, nella quale ho lavorato a lungo e nella quale torno sempre con piacere. Dal pubblico andriese ricevo sempre affetto e questa è una cosa importante quando si fa questo lavoro.

Perché hai scelto di concludere questo ciclo di incontri proprio con l’Orestea?

Perché rappresenta un confine ed è la naturale conclusione del ciclo di racconti. Nell’Orestea , che è l’unica trilogia classica che ci è arrivata pressoché integra, Eschilo racconta l’origine della società del diritto, il passaggio dalla vendetta alla pena. Una sorta di primo passo dell’umanità verso la gestione dei conflitti attraverso la legge. Abbiamo ancora molta strada da fare, ma quella strada è cominciata ad Atene, di fronte a un tribunale chiamato a giudicare Oreste.