“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, art. 1 della Costituzione.

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, art. 1 della Costituzione.

“La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.”, art. 35 della Costituzione.

“Stiamo apposto, allora!”, verrebbe da dire. Non c’è altra Costituzione al mondo che abbia maggiormente a cura lo status giuridico del lavoratore, una garanzia normativa che non solo “fonda” la Repubblica, ma si erge a suo primo compito fondamentale. Sembra quasi che i Padri Costituenti, ispirati da chissà quale fonte iperuranica, si siano messi nella mente, nei cuori, nei sogni di ogni lavoratore. Come una mamma coi figli, né più né meno.

Il problema? È una mamma che non solo va ascoltata, ma anche obbedita. Fuor di metafora, la disciplina costituzionale, se non riceve esplicita e chiara attuazione tramite la legislazione ordinaria, non ha alcun effetto. Il che suona più forte di un paradosso stoico, dato e risaputo che il nostro testo costituzionale è rigido e perciò sovraordinato ad ogni altra fonte di produzione normativa.

Nondimeno, se nella prassi quotidiana la protezione che la Costituzione assicura ai lavoratori italiani fatica ad emergere, la teoria legislativa prevista è perfetta. Come ogni buona teoria, insomma.

Infatti la Legge disciplina una chiara e palese prevenzione giuridica contro le malattie e gli infortuni, i rischi professionali facilitati dall’attività lavorativa. Questi, invero, sono costituzionalmente intesi come “usuali” e non casuali: indotti, cioè, stabilmente dagli ambienti di lavoro o da certi processi produttivi. Si è pensato, più che utopisticamente, di poter calcolare in percentuali la costanza e l’impatto dei rischi professionali, in modo da provvedere ad una loro più facile evitabilità o, quanto meno, riducibilità.

Tuttavia, ancor più vero è che persino nel più paradisiaco e onirico dei mondi, le malattie e gli infortuni non smetterebbero di esistere. Laddove la prevenzione fallisce, ecco l’Assicurazione: la funzione di curare le infermità formatesi sul lavoro spetta per tutti, a prescindere dal rapporto lavorativo, al “Servizio sanitario nazionale.” Due le sue principali preoccupazioni: la conservazione del posto e il mantenimento della retribuzione, contro ogni sopravvenuta impossibilità di fornire la prestazione lavorativa.

Non è finita qui. La Repubblica decide di farsi santa e di prevedere in favore dei cittadini altre due direzioni di protezione giuridica del lavoro: una ulteriore disciplina normativa e un compito istituzionale di salvaguardia della formazione professionale.

La durata massima dell’orario di lavoro, il diritto al riposo settimanale, le ferie annuali, la parità dei sessi e dei trattamenti loro riservati sul posto di lavoro, il limite minimo di età per l’attività professionale salariata e la tutela dei minori lavoratori laddove essi siano consentiti. Queste, le garanzie normative. Inoltre, nonostante la Costituzione non preveda tra le sue garanzie la stabilità del rapporto di lavoro, la legge n.604 del 15 luglio 1966 elide ogni precedente discriminazione tra il pubblico impiego e l’attività professionale privata: nell’uno e nell’altro caso il licenziamento ingiustificato, da parte del datore di lavoro e per sue ragioni meramente soggettive, è illegittimo.

Quanto la Costituzione è madre buona e casta, e le Pubbliche Istituzioni talvolta “meretrici” lo si può speditamente intendere dall’ultimo fondamentale e sacro compito che la prima assegna alle seconde spesso inadempienti: la “formazione ed elevazione professionale” dei lavoratori e l’”educazione e l’avviamento professionale” degli inabili.

Come a dire: “Di lavoro non ce n’è, ma non preoccuparti: ci pensa Mamma Costituzione!”