Sarebbe ora di svegliarsi, cari grillini “de sinistra”…

Caro Direttore
il ministro birraio, Giggino Di Maio, a forza di farsi esperto di tutto e di non concludere niente, è ormai una tragica macchietta. L’attacco a corna base ai giornali, a Repubblica in special modo, dimostra ai tiepidi che il pericolo fascista non ha la sola faccia di Salvini, quella di Di Maio è ben più pericolosa con quel suo candore da santino incorniciato. Non gli basta insultare un giornale, ma si mangia le mani per non avere il potere di chiuderlo. Dunque si fa sciacallo e arringa le folle sulla crisi della testata, spiegando che essa è dovuta alle campagne contro il governo e alle false notizie. La faccenda sarebbe da seppellire sotto una grandinata di pernacchie, ma la faccenda è seria. Perché lo è? Perché un ministro vero dovrebbe conoscere le dinamiche del Paese dove vive e che, poveri noi, governa.

La crisi dei giornali nel mondo comincia già dieci anni fa, quando il nostro vendeva birre e noccioline allo stadio San Paolo di Napoli. Il più idiota dei lettori di quotidiani sa di che cosa parlo. In un Paese, il nostro, che è sempre stato fanalino di coda nelle edicole, l’arrivo dei giornali gratuiti online ha fatto ancora più danni. Ma io non credo che il pur sprovveduto Giggino non sappia la storia vera, è che, abituato a sparare promesse e palloni sgonfiabili, lui si racconta storie false per i gonzi che gli credono. Non solo, minaccia pure la stampa che lo critica, perché lui è abituato a stare in tv senza contraddittori, nel timore di confrontarsi con gente che svelerebbe al mondo la sua pochezza intellettuale e civile. Perché Di Maio è più ignorante di un ragazzino di terza media, vedi congiuntivi e Matera in Puglia. E si sa che gli ignoranti urlano per farsi ascoltare, i sapienti parlano sottovoce.

L’attacco a Repubblica è una prova di regime classico. I fascisti come assaggio del loro potere cominciano sempre dai giornali scomodi, chiudendoli. Non mi tranquillizza l’idea che Di Maio sia una tragica macchietta. L’uomo, da nullafacente che era, si trova a governare un Paese settima potenza industriale del mondo. Gli girerà la testa, e sembra terrorizzato dall’idea di perdere potere appena conquistato e di essere superato a destra, e nei sondaggi, dal ministro Salvini che il potere lo gestisce da vent’anni, non viene dal cestino con le birre a San Siro. Salvini è capo del suo partito, Giggino è dipendente della Casaleggio Associati. Nel tentativo di reggere il confronto con il Truce, si fa più truce dell’originale. Una corsa disperata, che potrebbe finire contro un muro. Io lo spero, perché l’attacco ai giornali ci avvicina pericolosamente alla Turchia di Erdogan. A sette mesi dal successo gialloverde, solo parole e promesse a vuoto, condite con “avvertimenti” di sapore fascista. Sarebbe ora di svegliarsi, cari grillini “de sinistra”.


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).