Francesco Morace

“Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte”

(Karl Popper)

Ho pensato alle parole di Popper dopo averlo conosciuto e parto volentieri da quelle per presentare Francesco Morace: sociologo, saggista e docente universitario, lavora da più di 30 anni nell’ambito della ricerca sociale e di mercato ed è il Presidente di Future Concept Lab.

Consulente strategico di Aziende e Istituzioni a livello internazionale tiene conferenze, corsi e seminari in circa 20 paesi del mondo.
È docente di Social Innovation al Politecnico di Milano e di Culture & Lifestyle alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento, è autore di 20 saggi, tra cui i recenti Italian Factor. Come moltiplicare il valore di un Paese (2014), e Crescita Felice. Percorsi di futuro civile (2015), i cui argomenti vengono ripresi dalla rubrica Radiofonica su Radio24 “Il Consum-autore”. Cura tuttora rubriche dedicate ai Trend su testate di settori diversi, come Adv, Dove, Interni, Mark Up, Millionaire, You e Style.

Buongiorno, prof. Morace, glielo chiedo a bruciapelo: cos’è la crescita felice?

La crescita felice è una visione che naturalmente fa un po’ da contraltare alla decrescita felice, che è stata negli ultimi dieci anni una teoria soprattutto francese (Serge Latouche, ndr), ma comunque molto seguita anche in Italia, che proponeva un’idea di sostenibilità, che peraltro noi condividiamo, ma che guarda all’idea di sviluppo e di crescita come qualcosa di non adeguato al presente e al futuro.
Quello che invece sostengo con la Crescita Felice, e con il Festival della Crescita che ne è nato, è che, mentre la diagnosi della decrescita è corretta e condivisibile, la terapia è totalmente sbagliata: il tema non è come decrescere, ma come continuare a crescere in modo sostenibile.
Questo anche psicologicamente ha un impatto diverso rispetto alla decrescita. Lo stesso termine incute timore, senso di abbandono, ti porta a difenderti e chiuderti. Spinge all’idea del “Km 0”, all’ecologismo più estremo e militante, mentre secondo noi l’idea ecologista è corretta, ma deve affrontare il mondo delle tecnologie, del consumo; il mondo di uno sviluppo che sia sano, ma che abbia comunque in sé i semi della crescita. Perché non possiamo chiedere a un bambino o a una pianta di decrescere.
L’idea è che bisogna accettare la sfida dell’innovazione, non demonizzare il consumo ma prenderne la parte felice come estensione della propria esperienza, sempre rispettando i limiti che l’ambiente e lo Human Touch ci impongono.

Tutto nasce dalla creazione del Future Concept Lab di cui lei è Ceo e Fondatore.

Partiamo dall’idea che dobbiamo misurarci con i numeri. Vanno bene le relazioni personali e la qualità della vita, ma noi qui in Italia abbiamo una grande diffidenza rispetto all’aspetto quantitativo delle ricerche, invece la scienza e i numeri sono la base di tutto. Bisogna fare ‘numeri’, moltiplicare il valore di ciò che abbiamo a disposizione e valorizzarlo. Questo è un processo che deve avvenire in tutti i luoghi, tutte le Regioni e tutte le città d’Italia.
Da qui nasce Future Concept Lab: un progetto anche personale, perché mio e di mia moglie, Linda Gobbi che è vice-presidente, sociologa anche lei, che parte nel 1989 e che al momento è una realtà con 18 persone a Milano e oltre 50 persone nel mondo, che fungono da antenne sul territorio con ricercatori in 40 città del mondo e 25 paesi.
Osserviamo la realtà, possibilmente senza filtri ideologici e senza prevenzioni, e cerchiamo da questa, anche attraverso tecniche sociologiche di ricerca, di definire dal basso quali siano le nuove modalità di vita nel presente e nel futuro. Facendolo da tanti anni, possiamo vantare di aver carpito anche alcuni grandi cambiamenti che erano in atto, ad esempio lo sharing: la sharing economy abbiamo cominciato a segnalarla più di 10 anni fa; ancora, l’importanza del genius loci ovvero la differenza territoriale; non è vero che tutto si sta globalizzando e stiamo tutti diventando uguali agli americani, semmai il contrario. Ciascuno cerca di valorizzare la sua specificità.

Una solidarizzazione delle culture. Come si sostiene questo progetto?

Attraverso la collaborazione con aziende. Anche le multinazionali, italiane e di altri Paesi, che hanno creduto in questo progetto, quindi fanno ricerca per innovare sempre con un occhio al futuro. Quindi il Future Concept Lab è il laboratorio dei concetti del futuro. Prima ancora del prodotto è importante il progetto, la sartorialità: un abito su misura per le aziende.

Ci riallacciamo ai temi della Deponenza: un tema che ha lanciato negli ultimi mesi, che pensa alle aziende e a quello che è il loro futuro sostenibile.

Esatto. Mi rifaccio a un saggio di Mauro Magatti, collega e scrittore del Corriere della Sera, in cui afferma che il tema non è né la “prepotenza” e neanche l’”impotenza”; questo vale molto nel rapporto con le culture e religioni diverse dalla nostra, di stretta attualità, dove purtroppo abbiamo questa doppia polarità: o siamo troppo aggressivi e prepotenti con affermazioni tipo “vanno chiusi nei loro paesi/stiano a casa loro”. O siamo impotenti, quindi subiamo passivamente le loro culture che arrivano che però non rispettano i nostri valori.
Il tema invece è quello della deponenza: che vuol dire ascoltare e conoscere il contesto – perché quando tu deponi a favore o contro qualcuno devi comunque conoscerlo – per rispettarlo e avere la capacità ed esercitare la responsabilità di esprimere il tuo punto di vista. Sappiamo che è molto difficile da fare, ma è una base di partenza importante tra l’essere attivi e passivi nelle relazioni internazionali.

Tra le attività del Future Concept Lab, spicca l’insegnamento ai giovani del Cool Hunting.

È il primo passo verso una visione di conoscenza della realtà, che però può essere molto semplice: significa comprendere cosa c’è di nuovo, fresco, innovativo attorno a noi in modo sicuramente spontaneo (foto, interviste, video), organizzando il materiale che si raccoglie in modo scientifico. Quindi il cool hunting, o trend foundation, è la base per capire quali siano i trend; c’è anche un corso online unico al mondo che si chiama trend gymnasium che ti insegna non solo ad osservare la tua città e capirne i cambiamenti, ma anche ad organizzare questa conoscenza per creare trend. Questo si è rivelato valido sia, ad esempio, per le società della Moda a Milano, quanto nella facoltà di Sociologia a Trento.

Vi state occupando anche di tre temi molto interessanti quali: consumo del territorio, etica del consumo e consumo applicato alla letteratura.

Ci tengo a sottolineare che consumo non è consumismo: quello che normalmente viene attaccato dalla visione di decrescita è l’idea che siamo tutti schiavi del consumismo. In realtà, dai nostri dati, scopriamo che solo una piccolissima parte del consumatore ha questo problema, che è addirittura dipendente dal consumo e dallo shopping. La stragrande maggioranza delle persone, com’è giusto, usa il consumo per rendere la propria vita più felice ed elevare la propria qualità della vita.
Questo è molto importante perché ci permette di capire il motivo per cui negli ultimi 20 anni c’è stato un grande cambiamento: negli anni ‘80-’90 contava molto la moda, come ti vestivi, i brand. Oggi, ad esempio, conta molto di più la dimensione alimentare. Programmi come Master Chef nascono perché c’è questo slittamento dalla moda al cibo. Qual è la differenza? Mentre nella moda potevi spacciarti per stravagante o visionario, ora col cibo non puoi bluffare, se una cosa non è buona non la metti in bocca.
Questo significa che c’è un ritorno alla “sostanza”, alla vera qualità degli elementi che ci circondano, e quindi 2lavorare sul consumo” si traduce in 2lavorare sulla qualità della vita”. Ed ha molto a che fare con l’etica: se prima contava l’estetica, quindi lo stile, oggi conta l’etica e l’estetica insieme. Come dicevano i greci “Kalòs kai agathos”, bello e buono. Quindi una cosa buona deve essere anche bella, per questo non condividiamo il neo-pauperismo, – l’idea che si debba essere austeri, tipica della decrescita felice – bisogna comprendere cosa è bello e cosa è buono e da lì partire per fare le cose “belle e ben fatte”.
Questo si collega al tema della letteratura: benché possa sembrare molto teorico, in realtà è un modo per rendere il nostro punto di vista più strutturale e approfondito, meno banale e standardizzato, con una fantasia e creatività tipica della letteratura. Va bene raccontare delle storie, purché siano storie vere. Altrimenti lo story-telling rimane quello delle pubblicità degli anni ’80, cioè solo finzione.

Chiudiamo con un altro concetto sempre molto attuale e di cui molti, con o senza diritto, si fanno portabandiera, che è quello della cittadinanza responsabile. Dalla grande città alle piccole realtà, quali obblighi e doveri comporta e quali benefici per una crescita personale e collettiva?

È un tema molto importante. Se ci pensi, la civiltà deriva da cives, dall’essere cittadino. Se non sei cittadino, e al Sud purtroppo non lo siamo molto spesso (Morace è di Napoli, ndr), ma pensi in modo individuale, senza entrare nell’ottica del bene comune e quindi condiviso, non vai da nessuna parte.
Se ci pensi, siamo il popolo che mangia meglio, si veste meglio, arreda meglio le proprie case. Ci manca la consapevolezza che la condivisione e la cura degli spazi urbani e del bene comune è alla base della crescita e che, se cominciassimo a tenerne conto, faremmo un balzo al primo posto in Europa per qualità della vita.

Com’è possibile conoscerla e condividere le proprie opinioni su questi temi?

Per tutto il 2016 saremo in tutte le regioni d’Italia con il Festival della Crescita. Tutte le informazioni sono disponibili sul sito http://www.festivalcrescita.it/

E Odysseo si impegna ad essere presente. Grazie Prof. Morace.

Grazie a voi!

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