Lo so, è una frase ricorrente, ma immaginatevi quando siete soli, voi e il vostro smartphone, atti a fare operazioni quali prenotare un volo, affittare un’auto o trovare un passaggio, un letto dove passare la notte, un ristorante tipico, aprire una chat che vi tenga in contatto con i vostri affetti. Semplicissimo no? Tanto da risolvervi la vita.

Allora vi renderete anche conto di quanto sia anacronistica la proposta di un prodotto giornalistico confezionato, per quanto flessibile e studiato sul “cliente”. E di come non basti più nemmeno essere Repubblica o il Corriere o il New York Times.

Qualcuno, durante la conferenza dell’ONA (Online News Association), ha già parlato di “morte dei brand giornalistici”.

La conferenza, tenutasi a Los Angeles, mette sotto la sua lente il meglio del giornalismo mondiale, sia per contenuti che per tecnologia proposta. Ed ha sancito, pur senza dirlo esplicitamente, un punto di svolta: editoria e giornalismo sono destinati a prendere due strade separate. È ormai quasi possibile per il giornalismo, senza il business degli editori tradizionali, affidarsi alla comunità di individui sociali (e social) di svolgere il ruolo di nuovi editori, nella stessa logica di interazione che si ha con i servizi di cui sopra. La sensazione che sia uno scenario possibile è forte e nemmeno tanto remota.

E sicuramente questa separazione porta vantaggi immediati più al giornalismo che agli editori. Disinteressato dell’obbligo di vendere un prodotto, andrà a riaffermare il suo ruolo civico e sociale, confrontandosi direttamente col lettore e le persone alle quali si rivolge e dalle quali sarà non solo sostenuto ma sollecitato.

L’editoria odierna è un’industria che ha quasi esaurito il suo ciclo vitale, come tante altre prima di lei: i numeri sono impietosi sia in termini di ricavi, che sostenibilità, insufficienti per avere fiducia in un modello di business che ha fallito con i paywall e la pubblicità tradizionale, in crisi già prima dell’avvento degli ad-blockers. Si va a tentoni verso nuove forme di coinvolgimento, strategie di ricavi, modelli di prodotto e di business, ma con risultati lontani dall’indurre ottimismo.

I trend tecnologici rappresentano ancora il faro all’orizzonte per un’industria che forse potrà continuare a finanziare il giornalismo se riuscirà a spostare il focus del business sulla tecnologia”, spiega Richard Gingras, esperto analista, tra le altre, per Google e Apple. “Sarà necessario però smettere di ragionare in termini di prodotto e cominciare a farlo in termini di servizio: se c’è ancora spazio per ‘fare soldi’, risiede nelle piattaforme di abilitazione. Il binomio fra trend tecnologici e nuove forme di monetizzazione dell’esperienza dei lettori rappresenta il futuro immediato. Quindi è doveroso, oltre che salutare, rendersi conto di quello che accade e provare a reagire, prima di arrendersi”.