in molti ed autorevoli si sono lambiccati il cervello per dimostrare che il voto di Roma, Torino, Napoli sia stato “evidentemente” un segnale a Renzi.

Leggo con interesse sempre più calante i commenti degli “specialisti” al comportamento elettorale degli italiani. Noto che continuano a trattarle come un derby fra destra e sinistra, fra governo e opposizioni, fra premier e gufi.

Quando ero ragazzo e leggevo il grandioso “Guerin sportivo”, trovai una volta un articolo dell’eccelso Gianni Brera che raccontava una parabola. Dunque, la ricordo più o meno così. Un gruppo di uomini notò strani segnali che arrivavano da un altro pianeta, e subito si affaccendò a stendere lenzuola per far intendere di averli captati. Quegli altri, gli extraterrestri, risposero: non ce l’abbiamo con voi, ma con quelli del pianeta successivo. La parabola mi torna alla mente quando vedo – e leggo con sempre meno interesse – le recenti reazioni al voto di domenica scorsa. I partiti e gli esperti parlano e si accapigliano, ma dagli elettori arriva il segnale degli extraterrestri.

Nello caso specifico, in molti ed autorevoli si sono lambiccati il cervello per dimostrare che il voto di Roma, Torino, Napoli sia stato “evidentemente” un segnale a Renzi. Analisi di comodo, un copia-incolla del passato, quando lo schema di gioco era sempre lo stesso, scontato e banale. Il gioco è cambiato, oggi la sfida è fra partiti di sistema e partiti anti-sistema. La cosa riguarda il mondo tutto, sublimata dallo scontro fra la Clinton e Trump per la Casa Bianca. I partiti di sistema rimangono di destra o di sinistra. I partiti anti-sistema raccolgono da destra e da sinistra.

In Italia l’unico vero partito anti-sistema è il Movimento 5 Stelle. Il popolo lo vota perché legge i partiti classici come pezzi di una corporazione che difende gli interessi dei garantiti. Lettura non del tutto peregrina. E allora, dopo anni di malessere covato, esplode a Roma, a Torino, a Napoli.

A parte Torino, unica vera sorpresa del voto, Roma e Napoli sono due città devastate. Roma, la capitale della politica, subisce la giusta punizione per trent’anni di malgoverno, da destra, da sinistra e dal centro, senza distinzione di colore. Renzi c’entra poco, visto che è premier da soli due anni. C’entra in quanto capo di un partito, il Pd, che ha contribuito pesantemente al degrado della città. Il voto mette tutti nella stessa cesta: Renzi, Berlusconi, la Meloni, Salvini. E dire che ha perso soltanto la sinistra è un tentativo di riproporre un vecchio giochino senza senso. I non garantiti, i giovani che non vedono futuro, i pensionati al minimo, i piccoli imprenditori sono stati di destra e di sinistra, adesso non sono né di destra né di sinistra. Hanno deciso di scassare tutto, e accada quel che vorrà. Questo schema ha partorito la Raggi, vedremo come andrà a finire fra cinque anni. Magari va pure bene.

Non credo che il mio ragionare sia molto distante dalla verità. La cartina di tornasole è Milano, dove il tradizionale scontro fra sinistra e destra continua senza scosse. Anzi senza grillini per la testa. Perché? Perché Milano è una città ben governata, dove l’anti-sistema è stato Bossi, poi diventato un sistemista duro e impuro. Milano Bossi lo ha assorbito senza traumi veri, figurarsi la felpa di Salvini. Milano aveva in campo due sindaci simili, con poche differenze decisive. Sala, un manager, sostenuto dalle liste della sinistra; Salvini, un manager, sostenuto dalle liste della destra. Quelli di Grillo non ci sono, e ci sarà una ragione. Ne vedo una: i due candidati non hanno, nella loro storia, stimmate di partiti di sistema. Sono “civici”, e cioè un pochino anti-sistema anche loro. Un trucco? E, pure fosse, un trucco ben studiato. Un trucco “di sostanza”, come di sostanza è Milano, l’unica città italiana di respiro europeo.

Ecco, forse da questo voto, viene fuori la vera novità. Esiste un modello-Roma e un modello-Milano. Le mode non sono eterne e spesso cambiano rapidamente, ma per adesso è così. Il patto del Nazareno era stato l’argine all’anti-sistema, ma non ha retto. Forse perché non regge più il sistema. Si sa che è più semplice darsi un capro espiatorio, piuttosto che ragionare sulle vittorie e sulle sconfitte, ma ragionare del voto ruotando attorno a Renzi è il modo più scontato per non raccapezzarsi. A me così pare.


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).