Dalla cucina arriva forte l’odore della cipolla messa a rosolare, come da italiana tradizione, in un sugo con concentrato cinese, come da tradizione, italiana. L’Italiano sfiduciato da tempo restava in silenzio a riflettere. Cercava, ormai da un anno, quelle benedette parole da dire al figlio: il sedicenne sfiduciato.
“Papà!” Prima del pranzo, dopo il lavoro, prima del caffè, prima della cena e dopo Montalbano. Lì, sul letto. Le braccia sul petto e gli occhi spalancati – aperti – sul soffitto bianco. Dalla finestra, invece, l’odore forte delle spezie. La famiglia indiana del piano di sotto stava cucinando: marò in agrodolce.
L’Italiano sfiduciato chiude la finestra, come da italiana tradizione. Non lascia mescolare l’odore, non lo lascia entrare in casa. Ritorna al letto in compagnia della moglie, stesa su un lato, di spalle: “Quand’è che imbianchiamo? Lì c’è già un po’ di muffa”. “Presto”, rispose secco.
Un anno passato a cercare le giuste parole. Non le solite. Quelle giuste: “Tutto bene! Finita la scuola troverai un ottimo lavoro retribuito in una bellissima città Italiana pulita e funzionale”. Finzione. Nemmeno una sceneggiatura di un film di fantascienza. Un braccio fuori dal finestrino dell’auto, una preparazione di un tiro da 3 degna della più bella finale dell’NBA. Ciaf. Canestro. Lo sport nazionale: il lancio di cose. La carta bianca arrotolata diretta tra il marciapiede e la strada, sotto lo sguardo impassibile alla fermata del bus.
Ore 21:00. L’orario in cui ognuno ha voglia di raccontarti di sé, di raccontarsi. L’ora in cui ti metti le mani nelle tasche dei pantaloni per fare il conto della giornata. Solo spicci. “Io le voglio ancora bene” – le voci di un Omone sincero – “mi ha lasciato. Sa, devo dirle che io non ci credo alle seconde opportunità. È finita. Punto. Ci sono stato male per i primi 6 mesi”, “Ed ora?” – chiede l’Italiano sfiduciato – “Ora sono solo. Solo” – sospira l’Omone dalla voce rauca – “Non lo diresti mai, le sto provando tutte, a 40 anni la vita si stravolge e alla fine ti ritrovi solo, senza casa e con due figli adolescenti. Ah ma la colpa è mia!”. “Lei prende questo?”, “Sì!” – pensieroso rispose l’Italiano sfiduciato – “Si!”, esclamò annuendo con la testa. Fuori era buio. Il bus parte. Un uomo al telefono, sussurra : “Enzo, io ora sto tornando dalla chiesa. Enzo, Enzo. Enzo, ascoltami! Sono fiducioso. Oramai credo profondamente nella grazia di Nostro Signore Gesù Cristo”. Il bus a quell’ora è anch’esso una tasca dei pantaloni. Un giornale a terra. La pagina titola “Roma nel mirino dell’ISIS”. “Lei ha paura?” – l’Omone domanda – “A volte si!”, risponde l’Italiano sfiduciato con un leggero sorriso. “Se è così io mi prendo i pupi e me ne vado via!” Magari avrà avuto la stessa preoccupazione anche Ignazio Marino. “Mi dimetto”. La dura lettera capitale.
L’italiano sfiduciato capisce. Scende. Non era la sua fermata. Scende di corsa. Saluta. Cammina. Corre nel buio. Arriva a casa. Prende foglio e carta. Scrive. “A quarant’anni, di colpo, ho fatto politica in nome dello Stato e non per un partito. Ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato solo nell’interesse del Paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di avere avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici, comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto. Abbiamo coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il Paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere, costi quello che costi”. Giorgio Ambrosoli, ucciso per mano di un sicario l’11 luglio 1979. Lettera di un uomo alla moglie.