“Il peso dei ricordi”

Ultimamente sto leggendo delle novelle cinesi di fantascienza molto interessanti, tra cui una di Chen Qiufan, il cui titolo in inglese è “A History of Future Illnesses”, che in qualche modo si rifà al mio articolo precedente a questo, visto che uno dei capitoli del racconto si conclude con l’affermazione che era dai tempi del Milione di Marco Polo che i valori cinesi non venivano esportati in tutto il mondo, a conferma della notorietà del viaggiatore veneziano in Cina anche tra le generazioni più giovani.

Questa volta però vi parlerò di un altro racconto, che mi ha fatto tornare con la mente indietro al giorno in cui è nata mia figlia, e si tratta di un’opera di Liu Cixin.

Credo che questo nome dica poco ai lettori italiani, ma si tratta di uno scrittore di fantascienza famosissimo in Cina (è piuttosto noto anche negli Stati Uniti), soprattutto per la sua trilogia, acquistabile anche in Italia, de “Il Problema dei Tre Corpi” (così tradotto in italiano, il titolo originale è 三体 San Ti).

Con questo articolo però non voglio parlare di questo capolavoro, ma di un’altra sua opera, in questo caso un racconto breve, che io ho letto nella sua versione in inglese intitolata “The Weight of Memories” (Il peso dei ricordi).

Il racconto è praticamente un dialogo fra una madre e il suo feto,cosa resa possibile da un esperimento della dottoressa Ying, che assiste e partecipa alla conversazione, una neuroscienziata che ha scoperto come trasmettere i ricordi dalla madre al feto che questa porta in grembo, rendendo quest’ultimo un individuo che possiede un’esperienza di vita (cioè quella materna) prima ancora di nascere.

Potrebbe sembrare la realizzazione del sogno degli esseri umani, cioè quello di iniziare la propria vita avendo già l’esperienza di una vita precedente, ma l’esperimento non finisce bene; il peso dei ricordi è un fardello insopportabile per il feto, che si farà un’idea negativa della vita, e arriverà a recidere il cordone ombelicale, diventando così il più giovane suicida della storia.

Questa storia mi ha fatto molto riflettere su come la tecnologia ha cambiato l’approccio dei genitori con il proprio bimbo o bimba in arrivo; se una volta il sesso lo si veniva a sapere solo al momento della nascita (così è stato per me e mio fratello), adesso è impensabile, i genitori (o meglio tutto la famiglia), vogliono saperlo il prima possibile per comprare le tutine adeguate, la radiografia è un evento epico, per sapere come sta il feto, certo, ma anche per poterlo “guardare” e ascoltare il battito del suo cuore.

Guardare poi…dalla radiografia si vede una massa riconoscibile a malapena dalle linee, ma “per fortuna” la tecnologia ha fatto progressi anche in questo settore, e adesso abbiamo foto e video del feto in 3D, e pazienza se a volte l’effetto non è quello desiderato e lo sguardo del bimbo (uso il maschile per comodità) è meno carino di quanto ci aspettavamo.

Se la radiografia è un mezzo fondamentale per verificare lo stato del feto e le condizioni della gravidanza, le foto e i video non mi sembrano una cosa imprenscindibile, ho pure letto che emettono radiazioni le quali potrebbero danneggiare il nascituro, non so se sia vero.

Insomma, nel racconto di Liu Cixin ho visto l’estremizzazione di questa nostra incapacità di attendere 9 mesi per sapere il sesso e l’aspetto del nascituro, come facevano i nostri nonni, e come in pratica ho fatto io.

Sì, perché in Cina vigono delle regole un po’ astruse, retaggio della legge del figlio unico e di una certa moralità.

Infatti in Cina non è possibile sapere il sesso del nascituro, per evitare che ci siano coppie che optino per l’aborto in caso di figlia femmina, cosa che purtroppo ai tempi in cui era consentito avere un solo figlio (o meglio, per averne più di uno bisognava pagare), succedeva spesso, soprattutto nei villaggi rurali, dove se proprio si doveva avere solo un figlio, allora quel figlio doveva essere maschio.

Adesso di figli se ne possono avere tre, anzi, la cosa è incentivata dal governo, anche se con scarsa applicazione da parte dei cittadini spaventati dalle spese e dalla fatica che comporta la nascita di un secondo o addirittura un terzo figlio, eppure la regola negli ospedali vige ancora, il sesso del feto non può essere comunicato ai genitori.

Ovviamente la legge, come tante altre leggi, è aggirabile, basta rivolgersi a un ospedale privato anche per una singola ecografia, ma sarebbe meglio che questa disposizione oggettivamente obsoleta venga rimossa, anche perché nelle moderne famiglie, soprattutto nelle grandi città, tante famiglie hanno una femmina come figlia unica e non è affatto un problema, tantissime delle mie studentesse sono figlie uniche e i genitori investono molto in loro.

Io e mia moglie però, pur avendo la possibilità di saperlo tramite un’ecografia in una clinica privata (come hanno fatto alcuni amici miei), abbiamo preferito non saperlo, abbiamo deciso di scoprirlo al momento della nascita, e devo dire che è stato molto emozionante saperlo così, anche se io ero in collegamento telefonico, e la prima volta che ho visto mia figlia è stata in videochiamata mentre Feifei (mia moglie) l’allattava.

Sì, perché in Cina (almeno nelle strutture pubbliche), agli uomini non è consentito entrare nel reparto di ginecologia, ergo non possono assistere alle ecografie e non possono essere presenti in sala parto, regole ancora più rigide in periodo contenimento dell’epidemia di Covid-19 (mia figlia Fuya è nata nel ’21).

Per quanto riguarda l’ecografia, io vi ho assistito una volta grazie a una dottoressa che, vedendomi occidentale, ha pensato che dalle mie parti fosse normale per gli uomini essere presenti alle ecografie, e quindi mi ha invitato a entrare, mentre la seconda volta è stata in una clinica privata, a un paio di settimane dalla nascita, ma non abbiamo chiesto di rivelarci il sesso del nascituro, né abbiamo voluto foto e video del feto.

Per concludere, in Cina forse vigono forse regole antiquate, ma io devo dire che non mi sono trovato male; è vero, non ho assistito al parto (in realtà tanti uomini non vi assistono neanche in Italia, che io sappia), ma devo ammettere candidamente che l’idea mi spaventava, probabilmente sarei stato solo d’impaccio, ed è stato molto emozionante vedere mia moglie e mia figlia insieme in videochiamata, anche se ho potuto prendere in braccio la mia bambina soltanto il giorno dopo.

Quando ho raccontato queste cose ad amici e parenti in Italia, alcuni sono rimasti sbigottiti, mi hanno chiesto come avessi potuto accettare tutto ciò, il che mi ha fatto un po’ sorridere visto che probabilmente è stato il modo in cui hanno partorito le loro madri, non le loro bisnonne, perciò penso che il racconto di Liu Cixin ci metta in guardia dalla voglia (quasi morbosa) di avere da subito un contatto con nostro/a figlio/a, saperne il sesso, vederlo; magari in seguito ci sarà possibile anche sentire la sua voce e non solo il battito del cuore, però temo che potremmo anche fare danni, come succede nella storia narrata da questo bravo scrittore cinese.


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Mi chiamo Marco Volpe, nato a Trani nel 1982 ma cresciuto ad Andria. Dopo essermi laureato all'università La Sapienza di Roma in Lingua e civiltà cinese, ho frequentato un corso intensivo di lingua cinese a Pechino, dove dieci anni fa ho cominciato a lavorare come insegnante d'italiano e dove vivo tuttora con mia moglie.