Renzi è come il Cristo dell’ancora un poco e non mi vedrete, e ancora un poco e mi vedrete

Caro Direttore,

sull’attuale deprimente panorama del governo gialloverde, il mio pensiero (con la minuscola) è chiaro: molta propaganda, poca competenza, brama di potere. Non che nel sottofondo la vittoria gialloverde e l’umiliazione del Pd non scorrano anche ragioni fondate, ma il risultato è l’esposizione del Paese a un rischio di sfascio senza ritorno. Ma perché le ragioni fondate sono finite nelle urne dei pentastellati e persino della Lega, e non in quelle dei democratici? Bella domanda, che andrebbe posta a Renzi, il quale Renzi si ostina ancora a non guardare negli occhi la verità dei fatti. Capisco, la botta è stata forte. Scendere dal 40 per cento delle elezioni europee al 18 scarso delle politiche non è uno scherzo, o è uno scherzo da prete. Ma questo è successo.

Dico subito che ho votato Sì al referendum del dicembre 2017, e lo rifarei domattina perché ritengo giuste quelle riforme, molte delle quali care ai 5 stelle e ai forzisti di Berlusconi, che poi hanno votato contro, in spregio e per dispetto a Renzi. È chiaro che il segnale del dicembre anticipava la sorte di marzo, non nelle dimensioni catastrofiche, ma l’anticipava. I voti delle europee stavano evaporando e anche quelli del referendum, che pur erano il 40 per cento, nonostante la sconfitta. Perché? Perché, come accade nella vita, talvolta la stessa persona può essere una risorsa, come si usa dire, o diventare un problema. A Renzi, partendo dalla sua elezione alla segreteria del Pd e poi al suo ruolo di premier, è successo proprio questo.

Perché? Aridaje, come dicono a Roma. Perché il suo buon governo non ha incrociato le aspettative del popolo. Renzi ha cercato di modernizzare il Paese, nello schema della globalizzazione mondiale e dell’Europa, ma non lo ha spiegato a coloro che, anche a sinistra, diffidano della globalizzazione e dell’Europa. Renzi era stato il Giovanni Battista di Macron, ma l’America già stava giubilando gli Obama e i Clinton per aprire le porte a Trump. Lui, Renzi, aveva pensato che centomila assunzioni di insegnanti, gli 80 euro, la rottura dell’articolo 18 e il milione dei posti di lavoro in più erano un premio alla sua politica. Le idee le aveva chiare, la sua capacità di affabulazione è incontestabile, la sua squadra di partito e di governo era decisa e serrata. Ma non è bastato.

Insomma, rottamati i D’Alema e compagni, il partito dei moderati che guarda a sinistra pensava di aver ricreato lo schema europeo all’infinito: socialdemocratici di qua, popolari di là. Il tentativo del Nazzareno, l’intesa con Berlusconi, aveva avuto vita malaticcia e breve. Berlusconi è maestro dei patti che finiscono a coda di pesce (chiedere al D’Alema della crostata famosa).

E adesso? La domanda non è priva di logica. Adesso il PD fatica a raccapezzarsi. Renzi è come il Cristo dell’ancora un poco e non mi vedrete, e ancora un poco e mi vedrete. Le sue truppe, e i “malvagi” del cerchio magico, resistono ma non resisteranno all’infinito. Il prestigio del leader fiorentino è appannato ma non rottamato. Nel partito, fra sconcerto e confusione, qualcuno vorrebbe tornare nelle piazze per capire da dove ricominciare. Il dubbio che serpeggia è un domani con gli stessi simboli e le stesse bandiere, o se non sia meglio allargare a un fronte unico europeista e antifascista. Nel mio piccolissimo, credo che sarebbe la soluzione migliore, così per mio gusto personale. Ma uno vale uno, piuttosto pochino.

Renzi, che se ne fa? Tocca a lui decidere che farsene. Non mi sorprenderebbe che, in questa sua ossessione rottamatrice, rottamasse anche se stesso.


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).

1 COMMENTO

  1. Mi piace questo articolo, condivido tutto il filo del discorso, se non fosse per le idee che camminano tra gli spazi vuoti del testo. Ma il mondo è bello perché è vario.
    Lo stesso Orfini (braccio destro di Renzi mi pare), leggevo su un quotidiano che auspicava la rifondazione del partito democratico, quasi un reset e riavvio. Può essere una soluzione positiva per il nostro paese, l’importante anzi il fondamentale, sta nel “come”.
    Circa il “come” nell’articolo l’autore auspica un fronte unico europeista e antifascista. Io che non credo nell’antifascismo per il prefisso “anti” (né antifascista né anticomunista) perché non esiste né il pericolo di fascismo né quello di comunismo, ritengo che piuttosto dovremmo auspicare un governo si europeista, ma spoglio della veste neoliberista che lo ricopre (o meglio: che lo domina).
    Oggi parlare di fascismo altro non è che due cose:
    1) l’esigenza di continuare ad affermarsi di una generazione che è cresciuta all’ombra di determinati modelli culturali e valori e che in essi ha trovato il proprio senso di vita;
    2) etichettare come fascismo tutto quello che più semplicemente è ciò che di cattivo e crudele è stato capace, è capace e sarà capace di fare l’uomo: razzismo con leggi a corredo, autoreferenzialità del proprio io e del proprio sistema; egoismo, individualismo; assassini più o meno di massa; ecc. In altre parole, quasi ciò che il coevo Comunismo fece nella sua “terra natia” e confinanti. Con la differenza più evidente che essendosi alleato contro il Nazi-Fascismo, il Comunismo ebbe miglior trattamento dagli Stati vincitori della seconda guerra mondiale.

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