«L’unica radice che ho mi fa male»

(Alda Merini)

“Quando impareremo ad amare la nostra imperfezione, ci ameremo per davvero”: mi sono sorpreso a sentirmi pronunciare queste parole, una volta, e mi è parso di essere protagonista di un’esperienza extracorporea.

Ma ero davvero io a parlare? Quello che ancora stenta a perdonarsi di non poter cambiare almeno tutto il mondo e poi si scopre incapace di cambiare perlomeno se stesso? Il perfezionista, il volontarista che predica amore per l’imperfezione? Paolo, ma a chi la vuoi raccontare?

Ecco, è andata più o meno così. Eppure mi pareva di essere sincero…

Caro lettore, adorata lettrice,

mi auguro che la convivenza con te stesso proceda alla grande, ma devo dire che mi capita troppo spesso di incontrare gente infelice, che si ama poco, si stima di meno e si perdona niente. Gente che non intende risorgere, si intestardisce nei propri limiti: non li supera né li accetta, se ne lascia soffocare. Gente che si dà la morte: letteralmente. Perché rassegnarsi a non respirare è già morire.

Flaubert ha scritto che esistono cammini che non hanno trovato i loro viaggiatori, ma anche che ci sono viaggiatori che non hanno mai imboccato il proprio sentiero: e temo siano i più numerosi. Si vorrebbe partire, ma si è indecisi, si è frenati dalla paura di perdersi per via, non si sa quale meta scegliere, si è vincolati dalla propria radice: che diventa sempre più robusta e legnosa, a mano a mano che gli anni trascorrono.

Chissà se era a questo che pensava Alda Merini quando scriveva che la sua unica radice era anche ciò che più la tormentava. Di certo, non lascia dubbi di interpretazione Michelangelo Buonarroti quando sentenzia: «Assai acquista chi perdendo impara». Mi ricorda quanto, in termini a noi più consoni, affermava il coach Julio Velasco: «Il vero talento ce l’ha chi ha capacità di apprendimento e la mantiene nel tempo».

Ecco: perdersi per imparare, smarrirsi per ritrovarsi, scoprire che la fedeltà a se stessi e agli altri è un cammino, non una paralisi, e che la differenza tra Pietro e Giuda è aver creduto o meno ad un amore che è più grande di ogni tradimento. Al di là di ogni errore. Al di là dell’amore, come canta Brunori Sas.

Chissà se, quando mi sono visto parlare di amore per la propria imperfezione, ero afferrato da pensieri come questi. Di sicuro, mi sono auto-strappato un sorriso e qui viene in soccorso Oriana Fallaci: «Solo chi ha pianto molto può apprezzare la vita nelle sue bellezze, e ridere bene».

Caro lettore, adorata lettrice, mentre arrivo al fondo di questa sconclusionata tazzina di caffè, mi piace immaginare che anche tu stia sorridendo.

Fëdor Michajlovič Dostoevskij, uno dei miei autori preferiti: «Si conosce un uomo dal modo in cui ride».

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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...