Finché non incontrò quella piovra maledetta…

Un profumo di gelsomini riempiva la notte.

Su un piccolo e delizioso terrazzino affacciato sul porto, incantato sulle minuscole lucine che disegnavano il confine tra la terra ed il mare, se ne stava un uomo, stretto in una maglietta lisa e sdrucita, del  colore indefinito della notte,  che i numerosi lavaggi avevano reso impalpabile e morbida come la seta. Un pantaloncino di nylon accarezzava la sommità delle sue gambe, tornite e lucidate dal sole. Non saprei dirvi quanti anni avesse; so   che portava i segni del tempo nei solchi del suo viso, profonde fessure che tagliavano gli occhi e rigavano i lati della bocca come mustacchi appassiti, e nei suoi capelli, sale pepe. Più sale che pepe.

Dondolava sull’amaca, le braccia piegate sotto il capo a sostenere i pensieri; tra le labbra, una piccola stecca di liquirizia che ogni tanto succhiava più forte fino a farsi bruciare la gola.

Stava. Da chissà quanto.

Al piano di sotto, risuonava il ciabattare che accompagnava  gli ultimi affanni della sua donna, interrotto qua e là dall’acciottolio di stoviglie riposte.

Lui stava. Immerso in quella pace rumorosa.

Aspettava che lei lo richiamasse a sé.

– Sto andando a letto. Vieni?

– Ancora un pò. Ti prego.

E allora lei, come ogni notte, saliva, gli si accoccolava accanto e fumando l’ultima sigaretta della giornata, davano vita al rituale che chiudeva le loro giornate estive.

Lei gli prendeva la mano, quella mano rugosa, dura, incisa dal mare, e lo portava giù e lui la seguiva, in silenzio.

Quella notte no.

Quando lei fece per sollevarsi, quando gli tese la mano affinché la prendesse, lui la rimise giù.

– Sta qui. Ho da dirti qualcosa.

Lei rimase ferma. Timorosa.

– Tra due giorni parte la nave – sussurrò lui – e io non mi imbarco.

Lei rimase in silenzio. La maggior parte del loro tempo lo avevano trascorso lontani, d’inverno.  Il mare prendeva gli uomini del paese, d’inverno. Li prendeva e li portava via per mesi.

E loro, le donne, vivevano una vita d’attesa; imparavano a stare da sole.

C’era un patto tra quelle donne ed il mare. Il loro silenzio, la loro solitudine, la pazienza, il coraggio, in cambio del ritorno dei loro uomini.

Era stato un pescatore di polpi, lui.  E andava per mare da solo, padrone del suo vento. Tanto tanto tempo fa.

Aveva una piccola barca di legno dorato, una barca che prima di lui era stata di suo padre e che era l’unica ricchezza che la sua famiglia avesse mai posseduto.

La lustrava ogni giorno, la lucidava, ne curava le ferite lasciando che l’acqua stessa riempisse i vuoti lasciati dal freddo invernale;  ne proteggeva le ali strappandole  al vento, con la forza delle sue mani: le spalle al sole , si contorceva alla ricerca del nodo più serrato.  E lei, al suo fianco, correva avanti e indietro, rincorrendo cime.

Quando partiva per la  pesca,  spesso, lei partiva con lui. Di mattino presto, con l’odore di caffe che inzuppava i loro vestiti e li accompagnava fino al molo. In borsa due panini caldi pronti per essere mangiati appena la barca avesse trovato il vento: spatolata di burro e qualche granello di zucchero per lei, due pomodori e una foglia di basilico per lui.

Mentre lui si preparava all’immersione, lei sistemava gli attrezzi necessari. Sputava nella maschera e strofinava con le dita le due lastre di vetro affinchè laggiù fosse tutto nitido e chiaro, controllava il boccaglio soffiandoci dentro un po’ e immergendolo velocemente nell’acqua salata affinchè la gomma si addolcisse, stendeva sul pavimento la rete che lui si sarebbe legato ai fianchi.

Lui la guardava fare e si lasciava per sé, l’ultima operazione, la più delicata e quella che a lei,  faceva un po’ ribrezzo; si preparava l’esca.

Girava la testa, lei, storcendo il muso, per non vedere.

– Hai finito? Posso? – e solo quando lui le dava il consenso, ritornava a guardare dalla sua parte.

Una volta lui, per scherzo, le  aveva giocato  un tiro mancino.

– Ho finito. Puoi guardare.

E si fece trovare con quella zampa di gallina impugnata, come una spada sguainata pronta a fendere; sguardo tronfio, gamba piegata sul panchetto della barca, preparandosi al balzo felino con cui dare inizio  ad un   fantomatico duello, con un altrettanto fantomatico nemico.

E lei, quasi svenne dal senso di nausea che la colse. Il suo volto si imbiancò e gli occhi vitrei cercarono il vuoto del cielo, mentre tutto roteava.

Veloce, lui, lanciò l’esca e corse a sostenerla riempiendola  di baci fino a farsi perdonare. E da quel momento, niente più scherzi. Né finzioni.

Non era donna di mare, lei. Aveva imparato ad amarlo con lui; per lui.

Aveva sempre vissuto nell’entroterra. Nata tra le rocce calcaree della loro regione, indurita dal vento e dal freddo rigido degli inverni murgiani.

Lo aveva conosciuto in una domenica di festa. Tra il fumo acre della carne abbrustolita che si snodava tra vicoli e vicoletti e  le fiumane di gente che andavano e venivano strusciandosi addosso,  lei portava in giro, quasi saltellando,  una cascata di  riccioli ramati su  un vestito a fiori.  Tra tutta quella folla vociante aveva sentito il suo sguardo e lo aveva cercato; i loro occhi si erano incontrati. Un sorriso, un altro  e poi ….

Lui pescava polpi, e di quello vivevano. Felici.

Finché lui non incontrò quella piovra maledetta. Un polpo gigante, nascosto subdolamente in un piccolo anfratto, grande  poco più di un pugno, ad una profondità ridicola per un pescatore esperto  come lui, qualche metro sotto il pelo dell’acqua, sottocosta.

Aveva allungato l’esca verso l’apertura, tenendola ben ferma come faceva di solito in attesa di una reazione e quando  aveva sentito che qualcosa la stava appesantendo l’aveva  tirata a sé. Come al solito.

La piovra gli si era  srotolata davanti in men che non si dica. Nera, gigantesca, fulminea. Gli si  era spalmata  sul viso, inondandolo del suo inchiostro  e oscurandogli  la vista, mentre i suoi tentacoli si aggrovigliavano intorno al collo come spire che si stringevano ogni momento di più in  un abbraccio diabolico.

Lui aveva perso il controllo di sé. Avrebbe potuto pinnare velocemente verso l’alto e risalire a galla ma non riusciva a pensare.

Le immagini della sua vita scorsero nella sua  testa come il rewind accellerato di un vecchio film e lui si ritrovò bambino, avvinghiato a sua madre, quell’enorme donna dal petto enorme che lo attirava a sé e lo soffocava con i suoi baci e le sue smancerie. E ricordò la malia delle sue parole – Non mi abbandonerai mai, vero? 

– No, mamma. Sarò sempre con te.

Rivide se stesso catturato da quella promessa, che non gli lasciava via di fuga.

– Dillo a mamma..dì tutto alla tua mamma che ti vuole bene e ti proteggerà sempre. Nessuno ti farà del male finchè ci sarò io, se tu farai ciò che ti dico io .

Sentì il senso di impotenza accumulato dentro di sé, il laccio di un amore che pretendeva , che dominava.

– E lui lì, pavido, silenzioso,- Va bene, mamma.  Sempre insieme. Sempre insieme. Promesso.

E come allora non riusciva a  muoversi, stritolato in quella morsa famelica.

Furono attimi; poi la vita prese il sopravvento e lo risvegliò da quell’incubo il ricordo di quei riccioli  ramati che ondeggiavano tra i colori dei fiori.

La risata della sua donna, lo sguardo dolce  che lo aveva catturato, lo riportarono a galla. Riacquistò le sue forze e staccò da sé l’animale,  gettandolo lontano insieme alla maschera.

Nulla fu più come prima. Riviveva quella scena ogni volta che chiudeva gli occhi. Il fiato gli mancava ogni volta che lei  lo abbracciava. Sentì l’impulso di scappare lontano sempre più forte, come a volersi staccare di dosso quella sensazione  che lo soffocava ogni volta che lei gli stava accanto. Era un tormento.

E allora scelse di imbarcarsi. Su un grande peschereccio. Con uomini forti, rudi, che non sapevano abbracciare.

Andava lontano. Più lontano che poteva. Stava via tutto l’inverno e quando tornava la ritrovava ad aspettarlo con i suoi riccioli danzanti, immersa nei colori dei fiori  con cui si faceva compagnia, in sua assenza.

In estate riprendeva la sua barchetta, se ne prendeva cura con dedizione e passava il tempo a godere del mare, del cibo buono che lei gli preparava  e dell’amore silenzioso e paziente con cui lei lo accoglieva. Ogni estate. E poi tornava l’inverno e lui partiva ancora e lei riprendeva ad aspettarlo. Senza nulla chiedere.

Si andò avanti così fintanto che lui si sciogliesse da quella morsa asfissiante, fintanto che fosse pronto ad accogliere l’amore senza sentirsene avvinto.

E successe improvvisamente;  in una notte  qualsiasi.

Aveva chiuso gli occhi con il solito timore con cui si approcciava al sonno  e un profumo di fiori, di quel gelsomino che rivestiva la sua casa  e  la sua donna  lo avevano dolcemente invaso carezzandogli  il cuore.

Era dolce quel profumo; come era dolce l’amore di quella donna  che  lui ritrovava ad aspettarlo, ogni volta. L’immagine dei suoi riccioli ramati che si agitavano sullo sfondo del porto, tra le piccole barchette abbandonate sulla riva, anch’esse in attesa di qualcuno  che se prendesse cura,  disperse la voglia di andar via.Era tutto finito. Senza una ragione che fosse evidente.

Perché è così che accade; la vita ci sconvolge quando meno ce lo aspettiamo.

–   Volevo dirti che resto qui, d’ora in poi – e voltando il capo verso di lei l’abbracciò stretta fino a farle perdere il fiato.

***

Un ringraziamento a Claudio Napoletano per l’immagine di Bride of Denmark , ormeggiata presso il Museo Galleggiante di Bisceglie e a Mimmo Cormio che ne è l’amorevole  nocchiero, nonché anima  dell’iniziativa  “L’imbarco dei mille” raccolta fondi per il restauro di “Grazie mille”, un piccolo gozzo da pesca, realizzato dall’ultimo maestro d’ascia di Bisceglie (Bt).  Per informazioni sul progetto si visiti la pagina fb del Museo galleggiante.


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Sono un’insegnante di Matematica e Scienze che adora raccontare ed ascoltare storie. Ho scoperto il potere terapeutico del racconto in un particolare momento della mia Vita e da allora scrivo storie che prendo in prestito dalla realtà. Nel 2014 ho pubblicato il mio primo libro, È solo questione di tempo. La mia vita, una favola, edito da EtEt, casa editrice con sede ad Andria. Nel 2016 ho frequentato un corso di scrittura creativa con Tommy Dibari, coautore di trasmissioni televisive e scrittore. Nel 2019 viene pubblicato, edito da Progedit, il mio secondo libro, Ti prometto il mare, racconto fiabesco incentrato su storie di donne. Sempre nel 2019 ho frequentato un corso di scrittura creativa con Luigi Dal Cin, autore di libri per ragazzi ed insegnante presso la scuola Holden. Profondamente convinta del valore etico della comunicazione, nel 2019 ho perfezionato le mie competenze con un master in PNL, Programmazione Neuro Linguistica Bio-etica seguito e, nel 2021, con un master in Coaching bio-Etico, conseguiti entrambi presso il centro di formazione Ikos di Bari.