Il progetto METROFOOD ( www.metrofood.it ) si propone di favorire l’interazione tra ricerca, innovazione, attori industriali e consumatori nel settore agroalimentare. Il suo obiettivo principale è promuovere lo sviluppo di sistemi agroalimentari sostenibili e innovativi, garantendo nel contempo la sicurezza, la tracciabilità e la qualità alimentare.

Nell’ambito di questo filone di ricerca, abbiamo intervistato la prof.ssa Giulia Menichetti, giunta dalla Harvard Medical School di Boston all’Università di Bari come visiting researcher con l’obiettivo di studiare l’impatto degli alimenti sulla salute, tema di cui lei si occupa da diversi anni.

Ciao, Giulia. In cosa consiste e come sei arrivata al progetto “Metrofood”?

Da fine del 2016 sono a capo di un progetto fra Harvard e Northeastern University di Boston che si chiama foodoma che mira a mappare la complessità chimica degli alimenti ed il suo ruolo nella salute umana con metodologie analitiche e computazionali tipiche dei farmaci (scienze delle reti, intelligenza artificiale), e sviluppando strategie intervento dalla medicina/nutrizione personalizzata agli interventi di salute pubblica.

Dalla Harvard Medical School di Boston al ruolo di visiting researcher presso l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, qual è il fil rouge che collega il benessere alimentare alla tradizione gastronomica di un Paese?

Mi piace pensare alla dieta da un punto evolutivo ed ecosistemico. Diversi gruppi di esseri umani si sono evoluti ed adattati per tollerare l’ambiente che li circondava e che determinava pressioni selettive. Anche le nostre ricette in qualche maniera si sono evolute con noi, prendendo poi velocità differenti a seconda dell’introduzione di nuovi ingredienti scoperti in continenti diversi, cambi in tecniche agricole, rivoluzione industriale nell’agroalimentare, e logica di profitto nel ridurre i costi di produzioni. E’ per questo che la tradizione gastronomica di un paese si può analizzare in chiave storica e chimica, per quantificare la variabilità chimica a cui sottoponiamo il nostro corpo ed i nostri batteri tutti i giorni, e quanto ci siamo allontanati chimicamente ed in termini di tempo dalla dieta dei nostri avi.

Al netto di diete più o meno certificate, quanta influenza può avere la complessità chimica del cibo sulla nostra salute?

Moltissima, basti pensare che negli Stati Uniti solo il 10-20% delle morti è attribuibile a disturbi di origine genetica, lasciando una fetta importante determinata da ambiente ed in particolare dalla qualità della dieta, soprattutto quella per le malattie cardiovascolari, il killer numero uno al mondo.

Quale sarebbe l’iter più congeniale per la standardizzazione, la raccolta e l’analisi di dati sui cibi?

Penso che sia necessario uno sforzo governativo internazionale nel misurare in maniera precisa e standardizzata la composizione chimica degli alimenti della catena alimentare, oltre le misure caloriche classiche, andando a studiare un pannello esaustivo di molecole che catturano le principali componenti bioattive e strutturali delle piante, le molecole prodotte durante la cottura degli alimenti, e gli additivi usati nei processi industriali. Molte d queste specie chimiche agiscono come e veri propri farmaci per noi ed il nostro microbioma, o alterano quanto accessibili sono altre sostanze nello stesso cibo per il nostro corpo. Il lavoro di singole università o fondazioni è lodevole ma non è abbastanza. Lo sforzo e la collaborazione necessaria è concettualmente simile a quanto successo per il progetto genoma fra gli anni Novanta e Duemila. Con un aiuto importante però: una volta prodotti abbastanza dati di composizione, bilanciati in termini di rappresentazione della catena alimentare e delle specie chimiche, l’intelligenza artificiale ci può aiutare nel completare la parte mancate delle nostre misure.

Sfruttando i fondi del PNRR e grazie alla preziosa collaborazione della professoressa di Fisica Applicata presso il Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti, che tipo di obiettivi intendete raggiungere nella maggiore consapevolezza quotidiana del mangiar sano?

Fra gli obiettivi principali della nostra collaborazione vogliamo investigare come colture diverse e varianti regionali di prodotti tipici come l’olio/grano/etc si possono riflettere in una variabilità chimica importante e traducibile in influenze sulla nostra salute ed il benessere del nostro microbioma a livello molecolare. In ambito di “metrologia” abbiamo l’ambizione di studiare e misurare le variazioni regionali della dieta Mediterranea tramite i dati sulle ricette e cibi tradizionali, per capire qual sia effettivamente la dieta che rispecchia i benefici trovati a livello epidemiologico. Infine, ci interessa quantificare come le abitudini culinarie e cibi tradizionali stanno cambiando, in particolare con l’introduzione di cibo ultra processato, che sembra affliggere in particolare i nostri bambini e ragazzi. Secondo le Nazioni Unite, nel 2016 nella fascia 5-9 anni l’Italia si posizionava prima in Europa per sovrappeso, e 12esima nel mondo dopo gli Stati Uniti.


Articolo precedenteL’HEXAGONE IN FIAMME
Articolo successivoParità di Genere? Basta Tabù
Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.