Dopo i successi de “I confini dell’Amore”, la cui prefazione è stata curata dal grande e compianto professor Michele Palumbo, e di “Amore al Tramonto”, recensito su Vanity Fair dall’allora Ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, lo scrittore andriese Ciro Daniele Lavigna torna nelle librerie con ”L’autobus che porta al mare”, Matarrese Editore, un vademecum emozionale che fa da dispaccio alle strade più vicine ai nostri ricordi del cuore

Considerando i luoghi della narrazione, quanto c è di autobiografico nel tuo libro?

In effetti, le vicende si evolvono in luoghi e contesti a me cari, ma la storia è frutto dell’immaginazione di un nostalgico sognatore quale io sono, anche se ad onor del vero quando si scrive, si finisce sempre col raccontare qualcosa di sé, si esterna la propria personalità, il proprio essere camuffato da personaggi e storie inventate, come credo che accada in tutti i racconti. Mi piace pensare che anche chi ha raccontato per la prima volta di Superman era un ragazzino che sognava di volare solo che anziché incollarsi le penne come Icaro, ha preferito brandire penna e calamaio.

Si parva licet, tu Vincenzo, Peppino e Miki, protagonisti del racconto sembrate muovervi con lo stesso empatico legame dei ragazzi, ad esempio di C’era una volta in America, o “Sleepers”. Che valore credi abbia l’amicizia nel lungo viaggio a tappe chiamato vita?

Il paragone è molto lusinghiero anche se non credo sia tanto lecito, lasciamo Sergio Leone riposare in pace, anche se, un giovane De Niro in qualità di protagonista per una sceneggiatura tratta dal mio romanzo lo vedrei bene. Dopo aver vaneggiato un po’, credo che l’amicizia sia importantissima soprattutto nell’età adolescenziale quando si tempra il carattere, quando l’esigenza di condivisione delle proprie esperienze è famelica ricercatrice di amici, col tempo poi le esigenze cambiano, portandosi via molto del tempo che era riservato a certe “Particolari” compagnie che comunque rimangono immortali.  E’ in un buon amico che riuscirai a trovare sempre un sorriso, anche quando non è vicino a te e di quelli nel lungo viaggio a tappe di cui parlavi, ne incontri pochi.

Ammettendo pure che Agata, la ragazza torinese dell’autobus, rappresenti il motore che ci spinge metaforicamente, verso i nostri obiettivi, qual è, a tuo parere, la destinazione finale di uno scrittore?

E’ quella di raccontare, è quella di lanciare un messaggio, di far immedesimare il lettore in quello che legge, poi le chiavi di lettura della storia possono essere tante e dipendono in parte da quanto e come il lettore vive la storia, anche in base al proprio vissuto personale. La metafora che si cela in questo racconto, secondo me, rivela l’attitudine errata di rinnegare se stessi, a volte ci spingiamo alla ricerca di alternative fatue, solo perché non ci si sente pronti per realizzare il proprio sogno, quello che ci serve per stare bene.

Progetti futuri?

Ho intenzione di contattare Giuseppe Tornatore per portare il mio racconto sul grande schermo, chiaramente con un cast d’eccezione che ci permetterebbe di vincere l’Oscar. Il problema è che poi mi sveglio e non mi rimane che cercarmi un lavoro serio.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.