Una riflessione ad un mese dall’incontro mondiale delle famiglie

Quest’anno dal 22 al 26 giugno è in programma a Roma il X Incontro mondiale delle famiglie. Da sempre  lo schema seguito è stato abbastanza simile: un Congresso teologico-pastorale internazionale all’inizio e la conclusione, alla presenza del Papa, con una veglia, una festa delle famiglie e con una grande celebrazione eucaristica finale nel Paese designato.

A causa della situazione particolare legata alla pandemia quest’anno la proposta avrà un carattere tutto particolare: il congresso teologico-pastorale sarà organizzato si a Roma ma con la possibilità di seguirlo anche a distanza. Così anche la celebrazione eucaristica alla presenza di papa Francesco sarà celebrata a Roma il sabato pomeriggio e trasmessa in mondovisione per dare a tutti la possibilità di seguirla a distanza. La grande differenza di questa edizione, dal carattere multicentrico è che si invitano le varie diocesi a celebrare l’evento nel proprio territorio e  alla presenza del proprio Vescovo. Nel presentare la novità Papa Francesco in un video messaggio, ha  invitato tutte le diocesi a programmare iniziative a partire dal tema: “L’amore familiare, vocazione e via di Santità”. A tal proposito, il servizio diocesano per l’accoglienza dei fedeli separati dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie ha chiesto a Mons. Domenico Marrone una riflessione sulla vocazione della famiglia in Amoris laetitia che si riporta di seguito. Un testo significativo e che offre opportuni spunti che ci aiutano nel percorso di preparazione alla X giornata mondiale delle famiglie.

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Il 19 marzo 2021 ricorreva il quinto anniversario dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica “Amoris Laetitia” (AL), sulla bellezza e la gioia dell’amore familiare. Per questa ricorrenza papa Francesco ha indetto un anno dedicato alla famiglia che si concluderà il 26 giugno 2022 con il X Incontro Mondiale delle Famiglie a Roma con il Santo Padre.

È un’opportunità per approfondire i contenuti dell’Esortazione apostolica. Dal momento che il tema dell’incontro mondiale, scelto da papa Francesco, sarà “L’amore familiare: vocazione e via di santità”, questo mio contributo intende soffermarsi sulla categoria di vocazione riferita al matrimonio, anche perché rileggere tutta la ricchezza di contenuti dell’Esortazione apostolica è compito impegnativo.

Sin dall’inizio dell’Esortazione apostolica è affermata la centralità dell’amore nel matrimonio. Il documento pontificio presenta una triplice caratteristica di novità, semplicità e complessità.

Dio chiama tutti alla santità e quindi alla felicità. Il raggiungimento di questa chiamata non è il prodotto di uno sforzo personale ed è impossibile senza il rapporto con gli altri. Non siamo individui isolati, ma persone in relazione con Dio e con i fratelli e le sorelle che vivono accanto a noi e condividono con noi questa esperienza. Siamo cercatori di una gioia che non ci costruiamo, ma che ci viene donata ed è tutta da scoprire. L’iniziativa della santità non parte da noi, ma da Dio stesso: è Lui che ci chiama e ci ama per primo. Quella degli uomini è solo una timida risposta a questo amore.

Aprendo la Scrittura ci accorgiamo che il Signore chiama continuamente a un rapporto di amicizia personale. Ogni chiamata, pur diversa, è accomunata dalla stretta relazione Dio-uomo. C’è una sola vocazione comune a tutti, quella ad amare, ma ci sono modi diversi di realizzarla.

Nel documento traspare la gioia per il dono della vocazione matrimoniale narrata e valorizzata. Sebbene in questo nostro tempo le coppie che chiedono di sposarsi nel Signore giungano con percorsi, storie e condizioni le più diverse, rimane fondamentale riconoscere come la scelta di vita matrimoniale sia una vocazione, alla pari di quella presbiterale o religiosa.

La domanda che interpella da sempre la nostra esistenza è il senso di un’esistenza vissuta nella sua pienezza e totalità; cioè un’esistenza soddisfatta, pienamente realizzata. Questo però non nel senso egoistico: una vita è decisamente realizzata nel momento in cui si completa/realizza in un’altra persona. Questo è ciò che avviene per chi decide di vivere la propria vita accanto ad un’altra persona (vocazione matrimoniale) e chi decide di realizzare la propria esistenza al servizio totale di altri (vocazione religiosa). La personale risposta a questo appello è l’atto attraverso il quale io “decido” che quella non può essere altrimenti che la realizzazione della mia vita: non c’è altro modello di vita che potrebbe portare a pienezza la mia esistenza.

Il termine vocazione in AL è inteso in senso biblico, così come appare fin dal primo capitolo, nel quale la realtà familiare è contemplata alla luce della Parola di Dio, un Dio che bussa alla porta di ogni famiglia perché desidera essere accolta da questa per condividerne l’intimità e trasfigurarla (cfr. AL 15).

Mentre in Familiaris consortio l’accento è posto sull’idea di stato di vita, in AL l’accento cade decisamente sull’incontro personale con il Vangelo e la persona di Cristo.

In AL si parla a più riprese della vocazione, proprio perché il matrimonio è realmente una vocazione. Attenzione, però: vocazione significa riferimento a Cristo. Non può esserci alcuna consapevolezza della propria vocazione, né alcuna preparazione al matrimonio, se non c’è un rapporto con Cristo.

La connotazione biblica della categoria linguistica della vocazione ne evidenzia la dimensione storico-salvifica: la chiamata a seguire il Signore è animata da un dinamismo che spinge a un progressivo approfondimento della relazione con Cristo. La vocazione della famiglia è quindi intesa come la storia della relazione con Dio nella vita di coppia.

Papa Francesco ribadisce con forza la presenza di Cristo vivente all’interno della famiglia, Chiesa domestica, che diventa, con l’aiuto dello Spirito Santo, forza permanente e trainante per la vita della Chiesa, famiglia di famiglie. Questo legame rende il matrimonio un segno sacramentale dell’amore di Cristo per la Chiesa, una vocazione specifica che invita a vivere l’amore coniugale come segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa.

Nel matrimonio la risposta all’amore di Dio che chiama prende corpo nella storia d’amore degli sposi, i quali nella loro quotidianità costruiscono le relazioni di comunione familiare dove Dio ha la propria dimora (cfr. AL 315).

Se il matrimonio è la risposta della coppia all’invito rivoltole da Cristo a seguirlo sulla strada del reciproco dono totale di sé, allora è necessario discernere continuamente nella propria storia coniugale le orme di Cristo che conduce progressivamente gli sposi alla pienezza del dono “per portarlo ai vertici dell’unione mistica” (AL 316).

L’autodonazione degli sposi, sotto la guida di Cristo, assume ogni giorno di più la forma dell’autodonazione di Cristo impressa in ogni relazione sponsale affinché possa svilupparsi nel corso della propria storia attraverso un dinamismo incessante di dono di sé analogo al dinamismo intratrinitario che in esso si rispecchia (cfr. AL 314).

Si tratta di un cammino che si svolge tra il già del dono gratuito di Dio che chiama e non ancora del compimento al quale ogni coppia tende incessantemente. Assistiamo qui a un cambio di paradigma: si passa dal matrimonio come stato di vita predeterminato, nel quale si entra per vivere conformemente alle regole che lo definiscono, al matrimonio come vocazione nella quale si cresce giorno dopo giorno in relazione a Dio che chiama.

C’è un passaggio da un paradigma volto ad operare un controllo sullo spazio in cui si articola la relazione coniugale a un paradigma incentrato sull’intento di attivare un processo che nel tempo porti a una sempre maggiore conformazione della relazione degli sposi a Cristo.  È l’applicazione al matrimonio del principio della superiorità del tempo sullo spazio (cfr. Evangelii gaudium 222).

Se il matrimonio è la “risposta alla specifica chiamata a vivere l’amore coniugale come segno imperfetto tra Cristo e la Chiesa” (AL 72), ne consegue che il matrimonio è edificato dall’amore coniugale in termini di fedeltà, cioè come atteggiamento che prende corpo all’interno della relazione di coppia per esigenze interne all’amore e non come legge imposta dall’esterno, dunque come espressione della totalità del dono di sé e non come diritto all’uso esclusivo del corpo. Appare di tutta evidenza il superamento di una visione giuridico-formale del matrimonio nella quale l’amore era talmente irrilevante da arrivare ad affermare non amor sed consesum facit nuptias.

In un tempo segnato dalla frammentarietà e dall’instabilità, gli sposi cristiani svolgono la vocazione-missione di chi insegna con la vita, la fedeltà e la perennità dell’amore di Dio che non viene meno.