In scena al Festival Castel dei Mondi il 28 settembre nello Chapiteau

È una storia che parla di un ragazzo e del suo disagio mentale. È la storia di una famiglia che non comprende, di una fiducia sottratta. È la storia di un’ossessione e di un traguardo mai raggiunto. È la storia di chi fugge e non arriva mai alla meta. Quindi è la storia di un po’ tutti noi.

Ma con un epilogo inatteso: la fuga dalla precaria condizione mentale si incontra e si scontra con quella dei migranti.

Questa la storia portata sul palco del Festival Castel dei Mondi da Cecilia Zingaro, attrice andriese, protagonista assoluta de “Il raccoglitore”.

Ciao, Cecilia. Parlaci del tuo spettacolo: quando è venuta alla luce l’idea di questa pièce?

Il progetto è nato in seguito alla lettura di un testo di Michele Santeramo, intitolato “Il raccoglitore”. Me ne sono subito innamorata per la prosodia pugliese e per i piccoli quadretti della nostra terra, per le dinamiche familiari, per il mare che raccontava. Mi ha colpito la sua delicatezza, ma anche la sua comicità. Un testo breve e non finito che mi ha permesso di aggiungere idee di regia e fare ricerca sul personaggio.

Un racconto, dunque, che dice molto della tua terra e dei suoi costumi, ma che si apre anche ad orizzonti internazionali…

Sì, certo. Durante l’allestimento dello spettacolo si sono verificate varie tragedie, come quella di Lampedusa; allora si è inserito il riscontro dell’immigrazione. Mi è sembrata un’opportunità per approfondire due umanità disagiate che scappano, una dalle proprie difficoltà mentali, l’altra dal proprio paese; due umanità che fuggono e non giungono mai alla terra promessa. Sono problematiche che si incontrano e si scontrano.dsc_0020

La vicenda è apparentemente semplice: un ragazzino, con un faro puntato sul volto, si trova in commissariato a rispondere di un crimine scabroso e, nel farlo, ci fa scoprire la sua storia poco alla volta. Tuttavia, la sua personalità è molto complessa. Come hai preparato un personaggio così lontano da te nel sesso, nell’età e nella condizione di malattia?

Qualcuno dice che i personaggi ti scelgono, sentono l’urgenza di essere raccontati. Questo personaggio mi ha parlato sin da subito. Quando lo interpreto mi possiede: per qualche giorno sbaglio a cucinare, faccio il maschio e non mi depilo. Nonostante tutto lo lascio fare perché mi appassiona. Dopotutto, mascherarmi mi fa sentire onnipotente. Non sarebbe nemmeno la prima volta che salgo sul palco da uomo… è il terzo ruolo maschile che interpreto ed è il mio preferito perché non c’è la componente sessuale, ma emerge un diverso tipo di sensibilità.

Dominare il palco con un monologo non è un compito semplice. Come ti approcci ad esso?

Mi piace sentirmi un animale da scena. Mi spiego meglio: ho scavalcato ogni tecnica, ho abbandonato l’approccio intellettuale e sono andata di pancia nel costruire un personaggio che si delinea di sera in sera, di spettacolo in spettacolo. Mi piace coinvolgere il pubblico perché accade sempre qualcosa di nuovo. Essere un animale da scena significa buttarsi sul palco e far succedere di tutto; significa saper gestire la scena. Credo che la necessità di questo nuovo approccio sia il sintomo di una maturità artistica. Non si è più allievi e si inizia ad essere maturi.

dsc_0013Dopo tanto girovagare sei di nuovo ad Andria, nella tua città. Quali sono le tue sensazioni?

Nel corso di dieci anni ho visto la città mutare notevolmente. Il centro storico da tempo non era nostro e il teatro ce lo ha restituito; ho visto la bellezza della gente che passeggia tra uno spettacolo e l’altro, che lo vive. Dunque il teatro ha avuto una funzione sociale, consegnando il centro storico agli andriesi, ma ha anche educato lo spettatore ad un gusto critico nello scegliere gli spettacoli da vedere.

Anche il Festival ha subito dei cambiamenti quest’anno…

Certo, ritengo che aver posticipato la rassegna lo abbia reso accessibile a tutti, anche alle scolaresche con i matinée. Devo ammettere di aver provato un po’ di timore quando ho saputo di dover recitare davanti a dei ragazzi; ma si sono dimostrati bravissimi e alla fine dello spettacolo sono venuti a farmi un sacco di domande, anche se all’inizio si vergognavano. È stato emozionante recitare per loro: mi sono appassionata al teatro durante gli anni di liceo, dopo aver visto all’Astra la messa in scena di una novella di Boccaccio. Quindi spero di averli fatti emozionare come successe a me anni fa.

img_9702Quella ragazzina innamorata del teatro oggi è una donna, un’attrice. Cosa le è successo nel frattempo?

Dopo il liceo mi sono iscritta all’università di Roma, ma finivo sempre a teatro o coinvolta in laboratori teatrali. Ho iniziato facendo due anni di gavetta in progetti abbastanza importanti e, dopo vari provini, sono entrata all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. Lì ho avuto la fortuna di incontrare Anna Marchesini e di averla come mia insegnante. Un incontro cruciale che ha fatto di lei il mio modello. Infatti, la sua rivoluzione è nell’aver trovato una sua dimensione autoriale in un mondo, quello del teatro, prevalentemente determinato da uomini e sbilanciato verso i ruoli maschili. Avere lei come modello significa prendermi una maggiore responsabilità della mia carriera, essere capocomico, trovare testi di mio gusto. Altre guide sono state per me Carlo Cecchi e Jurij Ferrini: ho imparato da loro stare dentro e fuori dalla scena, ho cercato il personaggio che mi permettesse di  are ciò che facevano loro con i grandi personaggi maschili. Tuttavia, i miei modelli preferiti sono femminili, donne autonome, che fanno ridere.

Allora ti salutiamo con l’augurio che tu possa raggiungere i tuoi obiettivi e superare i tuoi modelli. In bocca al lupo per tutto!

Grazie. Grazie a voi e ad Andria che mi ha regalato centinaia di spettatori. Grazie per i volti commossi a fine spettacolo, per i sorrisi, per gli abbracci degli sconosciuti.  È stata un’emozione inesprimibile, uno di quei momenti che ricorderò per sempre.dsc_0016