«Ricordati, se mai dovessi aver bisogno di una mano che ti aiuti, che ne troverai una alla fine del tuo braccio. Nel diventare più maturo scoprirai che hai due mani. Una per aiutare te stesso, l’altra per aiutare gli altri»
(Audrey Hepburn)
Riflessione breve.
Due giorni fa una persona adolescente e decisamente disastrata, a me molto molto cara, ha notato un elastico che porto al polso, che fa parte del brand Made in carcere e mi ha scritto così:
Tu attiri i problemi, i casi strani, le cose strane, le situazioni strane. Se non sei circondata da qualche dramma di cui occuparti non sei tu. Ed è così a scuola, nella vita e in un banale bracciale. Gli ospedali hanno il “dovere” di curare, tu hai l’ “esigenza”.
Siamo al mondo per servire, ho pensato. E che siamo al mondo per servire, ho risposto. Dopodiché ho sorriso, prendendo atto della grande verità che quell’adolescente mi aveva comunicato di pancia ed ho posato il cellulare in borsa.
Stamane molto presto ho ricevuto una telefonata che mi ha svegliata. Una persona, questa volta, con trent’anni più di me che mi chiedeva di andare da lei, avrebbe subito acceso la macchina del caffè. La mia voce baritonale, rapita quasi con violenza dal sonno, deve averle suggerito quanto presto fosse. Mentre si mortificava per avermi svegliata, io ero già in piedi, avevo lavato i denti, legato i capelli, messo addosso la prima pezza trovata ed avevo un piede in avanti verso il cancello di casa sua.
Seduta lì con lei, in attesa che il caffè mi restituisse una pressione sanguigna almeno decente, mentre continuava a scusarsi per avermi telefonato così presto senza, in realtà, essersene resa conto, mi sono accorta che non serviva io dicessi nulla.
Avevo sonno, mi ero precipitata, non era accaduto niente di grave ed una persona aveva solo bisogno che le tenessi un po’ di compagnia: aveva bisogno di svuotare la testa, voleva sentirmi parlare con la voce che da sempre dice farle da carica, voleva conforto.
E, come diceva l’adolescente di cui sopra, evidentemente io avevo risposto anche ad una mia esigenza: essere totalmente incapace di girarmi di spalle quando il dramma chiama.
E allora ho riflettuto, portando la tazzina alla bocca: non ho fatto, come sempre, niente di eroico. A caro prezzo spesso tanto mi è stato tolto, ma gratuitamente ben tante volte mi è stato dato. E allora gratuitamente sto dando…
Cosa ci ho guadagnato? Il Piccolo Principe direbbe che ci ho guadagnato il colore del grano… e non avrebbe tutti i torti, anche perché dal grano si fa la farina e con la farina la signora aveva preparato i muffin salati al prosciutto che poi, andando via, ho portato a mio figlio per colazione.
Ed io che, stupida, mi sentivo in colpa per essermi allontanata dieci metri prima che si fosse svegliato anche lui, ne ho ottenuto l’enorme felicità mentre affondava la testa nella sua colazione salata.
La vita non è necessariamente il matematico do tu des dei libri scritti dai grandi pensatori, ma come in quel messaggio derivato dal mio bracciale, la vita fa questo: chiama, anche all’alba.
E niente, presente! Io rispondo. Anche se poi resto rincretinita di sonno. Ma che fa? Scendo in spiaggia, abbraccio il lettino all’ombra e dormo.
Come dite? Io sono una persona fortunata? Avete ragione, lo so. E dunque ringrazio: i miei premi partita sono immensamente più grandi di quanto si possa pensare. E non c’è nessun bisogno di raccontarli: i premi SONO. Ed i premi, autonomamente, sconfiggono qualsiasi cosa ci sia da sconfiggere. Se c’è. E questo basta.