«Nuovo corso alluniversità dellInsipienza: laurea in scienze del luogo comune, con master in prosopopea»

(Dino Basili)

Avesse voluto dar retta ai luoghi comuni, avrebbe dovuto credere di essere ai Caraibi a Capodanno, dove il tempo notorio per i bilanci di fine anno si fa su favolose e bianchissime spiagge, fra verdeggianti palme, albe mozzafiato, indimenticabili tramonti ed opinabili cocktail. Ma aveva maturato una strana idiosincrasia per i luoghi comuni, come per molti luoghi e ancora per molti mortali comuni: esattamente per questo non era suo il tempo del bilancio di fine anno, non era suo nessun tempo specifico, non le apparteneva nessuno spazio definito.

Coraggiosa e piena di risorse, l’avevano sempre definita: una di quelle da cui l’emisfero non si aspettava che assi tirati fuori da una manica pure nascosta, come la cosa fosse un suo esclusivo merito. In realtà, più che coraggio, la sua era trasfigurazione della paura.

Ogni qual volta quel sentimento che bloccava arti e anima faceva capolino, si accartocciava e, con lo sforzo sovrumano di un felino preso dallo strapparsi una qualche pallottola dal costato, lo trasformava in modo da scongiurare l’eventualità si tramutasse in improduttivo panico ed assumesse, piuttosto, le fattezze dell’indispensabile timore che, invece, doveva per forza fare da prodromo ad ogni atto di coraggio degno di quel nome.

Allora sì, era impavida, avevano ragione, ma con il merito dell’ineluttabile forza di chi spera contro ogni speranza, la qual cosa nemmeno merito era: forse dono, poiché si trattava di un lato oscuro, incontrollabile, suo tanto quanto l’aria che respirava. Era solo per questo che si ritrovava a compiere gesta eroiche, pur nutrendo l’assoluta certezza di essere niente altro che fragile.

Era così, quindi, quel giorno su una spiaggia bianchissima, reduce da albe mozzafiato ed indimenticabili tramonti, lontana tanto da Capodanno, quanto dai luoghi e dai mortali comuni. Che differenza poteva mai fare il posto in cui si trovava o la data che segnava il calendario?

Qualsiasi fossero, aveva importanza solo che era giunto il momento: ce n’era stato uno per partire, uno per patire, uno per restare, uno per inghiottire, uno per spingere, uno per resistere, uno per cambiare, uno per godere, uno per imparare.

Adesso era il momento di strappare: il verbo sbagliato, le dissero quella mattina, non devi per forza stare in guerra. Cambiare: avrebbe dovuto usare il verbo cambiare. Ma lei aveva interrotto bruscamente quella conversazione, perché non sopportava ancora una volta che qualcuno chiudesse qualcosa con i luoghi comuni, mentre lei nelle parole ci stava mettendo tutto il cuore.

Dunque, perché quel momento fosse degno delle altezze che stava lasciando, doveva per forza fare male: non avesse generato la paura con il piede nel panico da portare dal lato del timore, avrebbe perso i tratti dell’eroico.

Ed era quello ciò a cui lei, nel momento del bilancio fuori tempo, puntava: la nuova ed ennesima eroica impresa.

Stava morendo, sentiva che era in piena lacerazione eppure, nemmeno ora, riusciva a cedere al pensiero della bandiera bianca. Di nuovo un distacco, di nuovo un universo parallelo in cui tornare, di nuovo iniziare, ripartire. Come se le ripartenze fossero tabula rasa: menzogne.

Qualche anno prima solo il nome Los Angeles, sulle indicazioni stradali, poteva farla sentire a bene. Adesso aveva raddoppiato la ricchezza: “San Luis Obispo”, pensava, e sarebbe stata comunque subito casa.

Quando vivi diviso, che fra persone o geografie (ammesso e non concesso che fra loro esista una reale differenza) non è detto che tu viva a metà. In quella scarnificazione, stava assolutamente apprendendo che vivere divisa l’avrebbe portata, probabilmente quanto inesorabilmente, ad un risultato inatteso e forse più giusto: vivere al doppio.


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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.