Oggi viviamo nel tempo della “connessione full time”, “condividiamo” con Whatsapp ogni momento della nostra esistenza con il “gruppo” dei nostri “amici”, anch’essi sempre connessi, che immediatamente ci rispondono, e sono pronti, con i loro “mi piace” o “commenti”, a supportare ogni nostra scelta, a condividere, a loro volta, con altri cento gruppi queste nostre esperienze, per cui si ha l’illusione di essere ben inseriti in una rete ricca di relazioni, in un mondo sfavillante ed appagante, a cui possiamo accedere senza limiti e soprattutto “free”.

Ma è proprio così? Queste relazioni senza legami e multicolori sono veramente appaganti per noi? E sono quelle che nutrono e supportano la nostra esistenza?

Sgombriamo subito il campo da ogni equivoco: socievolezza non è sinonimo di affettività; non conta infatti il numero di persone che si frequentano , ma il “come” le si frequenta.

È la profondità dei legami che crea buone relazioni!

Altra esperienza: a tutti noi è capitato di incontrare persone di grande valore nel campo della scienza, della politica, dell’impegno sociale, incapaci tuttavia di avere buone relazioni con le persone a loro vicine, con una affettività carente o addirittura assente.

Come valutare queste persone?

Altra osservazione: parliamo talvolta di buono o cattivo umore, condizioni che possono facilitare o disturbare i rapporti correnti con i nostri vicini e possono colorare questi rapporti di gioia o di tristezza.

Queste sensazioni si pongono ad un livello superficiale, talvolta possono generare emozioni di grande apertura o di altruismo, ma purtroppo non sono durature e cessano allo spegnersi della emozione che le ha generate.

Ci troviamo, come è evidente, di fronte ad un groviglio di sentimenti, in cui sembra difficile districarci.

Dal punto di osservazione che abbiamo adottato nelle brevi riflessioni sull’uomo e sull’umano esposte nei precedenti articoli, si è sottolineato come tutta la psicologia del soggetto e della soggettività trovi il suo compimento nella realizzazione dell’incontro Io-Tu, nella relazione, potendo da questo momento parlare non più in prima persona ma di NOI.

La possibilità di realizzare questo incontro attraverso la nostra presenza al mondo comprende in ogni momento le polarità opposte della esistenza, osservate: nel momento del suo distendersi, cioè nel suo aprirsi verso il mondo e verso l’altro (diastole), così come nel suo ritirarsi verso se stessa (sistole).

Questa apertura e chiusura dell’Io al mondo ed all’altro, diastole e sistole, costituiscono il ciclo strutturale del sentire e dell’agire, qualificano e caratterizzano la singolarità di ognuno di noi, raccontano la nostra biografia.

Ad esse sono legati molteplici fenomeni psichici, raggruppati genericamente sotto la voce “sentimenti”, apparentemente sovrapponibili tra loro, tanto da apparire nel linguaggio comune come sinonimi, ma che, ad una indagine più approfondita sono molto diversi, in quanto espressione di differenti livelli di profondità del sentire.

Questi fenomeni nascono ed appartengono alla nostra sfera endotimica, cioè sono radicati negli strati più profondi del nostro esser-ci, della nostra presenza al mondo, nella profondità anonima di una interiorità senza estensione, ove nascono anche gli istinti e le pulsioni.

Questo fondo rappresentato dal sentimento vitale costituisce il substrato inesprimibile ed inesperibile dal quale muovono i nostri stati d’animo.

Nelle riflessioni che seguiranno, punteremo l’attenzione sui “sentimenti”, rilevando sin da ora come essi costituiscano il milieu, l’ambiente, ma anche il mezzo e la espressione dell’incontro IO-TU.

Costituiscono semplicemente i legami ed i colori della relazione interumana!

Cerchiamo brevemente di esaminarli, in una logica di classificazione, ben lontani, pertanto, dalla esperienza esistenziale che ciascuno di noi ha di essi, spesse volte vissuti in un groviglio inestricabile e contraddittorio.


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Ho esercitato per oltre 40 anni la professione di neurologo e noto che oggi sembra di gran moda discutere di situazioni o comportamenti che riguardano l’uomo, servendosi di parole e concetti estrapolati da letture di di psicologia o psichiatria. Si cerca di dare una veste scientifica alle nostre opinioni, azzardando talvolta anche diagnosi specifiche, perdendo di vista la comprensione dello “specifico umano”, che sempre eccede le nostre categorie e che, come specchio, riguarda anche noi, in prima persona. Nelle mie brevi riflessioni presenterò alcuni aspetti della vita quotidiana di ognuno di noi, spesse volte portati all’attenzione di medici o psicologi, rileggendoli semplicemente come “accadimenti umani”, non rientranti nel patologico, cercando di de- psicologizzare e de- medicalizzare situazioni che, invece, sono proprie della condizione umana.