Il fatto: «Su insistenti segnalazioni genitoriali, abbiamo verificato che troppi docenti e addirittura dirigenti scolastici stringono “amicizie virtuali” con i propri alunni, si danno disinvoltamente un “tu” affatto pedagogico e utilizzano linguaggi sconvenienti […]. Si impone un codice di condotta per i docenti che utilizzano i social network, in particolare Facebook».
È questa la denuncia/proposta al ministro dell’Istruzione da parte del sociologo Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori.
Ma che ne pensano i diretti interessati?
Odysseo ha voluto chiederlo a due di loro, una studentessa e una “prof”, entrambe firme della nostra testata. Sono Maria Chiara Pomarico e Angela Di Franco.
Una sorta di canto e controcanto…
Scrive la studentessa
Io me lo vedo Antonio Marziale, Presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, arrivare a casa senza voce dopo aver passato le sue giornate ad urlare “E chi pensa ai bambiniii?” in perfetto stile Maude Flanders (si, proprio quella dei Simpsons). E già, perché il moralismo in Italia è proprio duro a morire: lo stesso Antonio Marziale è ospite abituale di quei meravigliosi programmi pomeridiani pieni zeppi di sociologia criminale comprata in edicola a soli 99 centesimi, gossip e scandali davvero imperdibili come i quattro capezzoli di Nina Moric. Aldilà della mia personale antipatia per il soggetto in questione, il caro Marziale questa volta vuole iniziare un’altra battaglia per contrastare la modernità: ha sollecitato direttamente il ministro dell’istruzione Giannini affinché gli insegnanti adottino un codice di comportamento sui social network. Be’, giusto, direte.
E no! Perché il vero problema che ha individuato il nostro attentissimo Marziale è che oggi troppi insegnanti “stringono amicizie virtuali con i propri alunni, si danno disinvoltamente un ‘tu’ affatto pedagogico”. Personalmente, mi sento di dire “e meno male!”. Anzi, ritengo che sia estremamente diseducativo quell’abuso di formalismi (il “lei”, alzarsi in piedi in maniera militare…) perché incentiva un atteggiamento di sciocca riverenza a cui non sempre corrisponde un effettivo rispetto. Inoltre, l’amicizia con un insegnante al di fuori delle aule scolastiche si può rivelare ancora più stimolante e arricchente perché permette di scoprire che il prof non è solo quella figura piatta dietro la scrivania, ma è un essere umano con altri interessi, che magari possono sollecitare la curiosità dello studente. Ad esempio, potrei citare i numerosi concerti di blues del mio professore di inglese del Liceo, le serate a discutere di economia e politica con il prof di Filosofia o la mia più evidente partecipazione ad Odysseo, grazie al prof di lettere. Quello che non vede l’amico Marziale è proprio questo: il “tu” è molto più pedagogico di qualsiasi scemenza Ottocentesca, come si sono ormai accorti da tempo i sistemi educativi del Nord Europa, in cui vi è maggiore informalità in aula, per sollecitare i dibattiti (e incentivare gli studenti a crearsi pensieri autonomi). Se poi il problema di Marziale è la condotta degli insegnati, bene, in quel caso si sarebbe potuto svegliare un po’ di anni fa e attivare controlli già sul comportamento in classe. Invece no, meglio combattere la modernità, questa brutta bestia del demonio.
Maria Chiara Pomarico
Risponde la “prof”
Un codice di condotta sui social per i docenti. È la proposta del Presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, Antonio Marziale, al Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini.
Un’ora di educazione digitale per studenti e proff. La mia controproposta. Perché in materia abbiamo tutti molto da imparare.
Essere on line per un docente può fare la differenza agli occhi degli studenti. Il prof sempre connesso, amico su WhatsApp, su Fb, su Ask è figo, certo. Ma se l’amicizia virtuale tra docenti e discenti diventa un botta e risposta a suon di tweet al vetriolo e post troppo confidenziali? E quel prof che pubblica commenti indecenti o usa un linguaggio sconveniente? E il dirigente che rimprovera dalla sua bacheca i propri insegnanti? Tutto questo è sempre figo?
Nella scuola 2.0 il docente deve trovare il giusto terreno di gioco con i suoi allievi, visto che le ore di lezione non emozionano più e altre sono le priorità rispetto allo studio. La rete può aiutarlo perché fa parte della quotidianità di ragazzi sempre online, anche a scuola, nonostante i divieti.
Ci sono dei limiti da non valicare, però, ruoli e privacy da rispettare. Perché il problema non è se accettare o meno la richiesta di amicizia dei propri alunni, ma il tipo di relazione che si instaura con loro nella vita virtuale e in quella reale. Il docente è in primis un modello, un punto di riferimento, un educatore. Il suo ruolo impone decoro, il rispetto di standard comportamentali sia quando è seduto dietro la cattedra, sia quando è online. Non può essere “amico” anche solo virtuale, deve mantenere quella distanza necessaria e quell’autorevolezza che l’uso del “lei” ancora garantisce, un uso purtroppo in via d’estinzione perché è decisamente cool il più confidenziale “tu” voluto dalla rete.
I ragazzi, d’altro canto, potrebbero sentirsi spiati attraverso i social e giudicati dai loro insegnanti, vivendo quell’amicizia come un’interferenza indesiderata. Hanno diritto ai propri spazi: controllo sì, ma sugli apprendimenti, non sulle emozioni.
Né si può pubblicare sulla propria bacheca qualsiasi post in modo sconsiderato, soprattutto riflessioni forti o sconvenienti che possono turbare o influenzare negativamente gli studenti.
In assoluta controtendenza ho disattivato il mio account Fb né sono iscritta a Twitter o Instagram, ma riesco comunque a coinvolgere i miei allievi in attività interessanti proprio sui social, perché oggi l’apprendimento passa per il digitale, se usato nel modo giusto naturalmente. Pretendo il “lei” dai miei studenti, ma con tanti di loro ho mantenuto una bella amicizia all’indomani della maturità, un’amicizia fatta di stima, di affetto, di confronto, di tanti momenti goliardici, anche senza i social. Con il “tu”, però!