
Venticinque adolescenti che ti osservano, ti scrutano, sempre all’erta, pronti a cogliere le tue più piccole incertezze per metterti alla prova, per provocarti, per sfidarti. Sì, perché tu sei il gufo della loro giornata con le tue noiosissime lezioni su Foscolo e su Manzoni… già Foscolo e le sue tombe che trasudano amor di patria… ma tant’è… il cellulare è lì, nascosto nell’astuccio sul banco; la prof non se ne accorgerà in trance nel decantare il valore delle illusioni foscoliane. La tentazione è forte, ma sì, andiamo su whatsapp: a lei interessa solo finire il programma e ci propina quelle sue nozioni fredde e assolutamente inattuali.
E tu parli ai muri.
“Un’ora di lezione può cambiare la vita”. Sarà vero? Le ore di lezione si animeranno? Saranno avventure, scoperte intellettuali, esperienze emotive per gli studenti?
Gli insegnanti sono soli in un mondo in cui la scuola non è più una priorità per gli studenti, per i loro genitori, per la società stessa, preoccupata di salvaguardare e rinnovare la pratica dell’insegnamento per renderlo più vicino al mondo del lavoro, ma con quali risultati? Anoressia intellettuale, senso di soffocamento, di noia, che spinge i giovani in mondi virtuali e vuoti alla ricerca di nuove emozioni. Perché questa è la triste verità: la scuola non emoziona più.
È duro ammetterlo, ma siamo di fronte ad una crisi senza precedenti del discorso educativo e della scuola. Potrebbe essere utile cercarne le cause, ma forse è il caso che ogni insegnante si rimbocchi immediatamente le maniche e si dia da fare. Come?
La scuola Edipo, secondo l’analisi di Massimo Recalcati, – che fondava la pratica dell’insegnamento sull’auctoritas della tradizione e considerava gli alunni delle viti storte da raddrizzare – fu spazzata via dalle contestazioni del ’68 e del ’77 proprio come Edipo si ribella al padre e sostituita dalla scuola Narciso – che si autocompiace nel riempire di files gli allievi col solo fine di potenziarne le prestazioni nella gara della vita, così come i genitori, complici dei figli, le chiedono.
Dalla scuola Narciso alla scuola Telemaco, il figlio di Ulisse in perenne attesa del padre. Proprio come Telemaco in balia dei Proci, lo studente è stato lasciato in balia di se stesso. Gli adulti sono così presi dal cercare e affermare se stessi che non esercitano più la loro funzione educativa né si pongono come l’alterità che consente il conflitto alla base di ogni processo formativo. E i figli si rifugiano nei social, nella rete, dove il sapere è a portata di un click ed ogni docente sembra superfluo.
Qui entra in gioco l’insegnante, moderno Ulisse, chiamato a ricostruire dalle fondamenta il discorso educativo, rinnovando il suo ruolo. Sarà il faro per i suoi studenti. Con la sola forza della sua parola. Dovrà suscitare il desiderio di sapere, non obbligando lo studente con l’obbedienza, l’autorità o peggio ancora con l’amicizia, ma lasciandolo libero e permettendogli di incamminarsi per la propria strada. Non dovrà condurlo lungo una via già tracciata, ma dovrà spingerlo verso la possibilità inedita di fare esperienze da solo e se lo vorrà. La parola sarà la sua arma. Una parola che si fa corpo e fa innamorare di sé anche quando i suoi significati sono formule chimiche, teoremi geometrici, sonetti di Foscolo. A patto che diventi testimonianza, che trasmetta la vita e il desiderio di chi la pronuncia, che si faccia desiderio essa stessa, eros. Perché, se è vero che ogni studente nell’era del sapere computerizzato ha a disposizione un sapere senza limiti, è questo un sapere senza corpo, privo dell’eros al centro di ogni relazione formativa, un sapere separato dalla vita. E l’insegnante dovrà ridare sostanza al sapere e ci riuscirà non se avrà propinato nozioni morte, che ogni alunno può ritrovare in rete da solo, ma solo se avrà sostanziato le sue lezioni della vita, suscitando il desiderio di sapere e andare oltre i propri orizzonti… Perché il processo di insegnamento – apprendimento è un’esperienza erotica.
Nell’incipit del Simposio di Platone Agatone invita Socrate, giunto in ritardo al banchetto, a prendere posto accanto a lui, quasi voglia con quella vicinanza assorbire tutto il sapere da cui si sente escluso. Ma Socrate, pur sedendosi accanto, non si presta al travaso cui aspira Agatone, rimbalzando invece a lui la palla: crea non un vuoto da riempire, ma un vuoto da aprire, si svuota del sapere per spingere Agatone a ricercare il proprio sapere. È in quel rifiuto di Socrate l’origine del processo di erotizzazione del sapere che ogni insegnante è chiamato ad attivare.
In bocca al lupo!
Angela Di Franco