La sesta satira di Giovenale contiene la celeberrima critica alle matrone romane, e si tratta del suo componimento più lungo tra quelli che ci sono pervenuti. Il contenuto di questa satira è un’esortazione del poeta, rivolta a un amico che vorrebbe sposarsi. Giovenale, in un’ottica chiaramente ostile alla cultura ellenica, descrive a quali abissi di corruzione le donne siano ormai giunte, sedotte dagli esempi della malsana letteratura greca e dal desiderio di apparire sofisticate.

Questo tema, trattato da Giovenale con un sentimento misogino tipico della cultura dell’epoca, può collegarsi al senso di corruzione della bellezza estetica, e anche dei valori, che animano il nostro mondo odierno. Vogliamo parlare della chirurgia estetica? Il tema non riguarda solo le donne dello spettacolo, ma anche le persone che non appaiono e non fanno la loro comparsa in tv e nel grande schermo. Stiamo parlando anche di uomini, che per eccessivo senso di vanità ricorrono al bisturi.

Il problema, a quanto pare, è legato alla non-accettazione del tempo che passa, alla paura di invecchiare e al voler assomigliare a un determinato stereotipo di bellezza, magari sottoponendosi a decine di interventi chirurgici pur di assomigliare al proprio idolo o “vip” che dir si voglia.

Si dimentica, forse, che la vecchiaia è simbolo di saggezza e che l’anziano possiede l’esperienza e il patrimonio di una vita vissuta e non è una “zavorra” di cui liberarsi il più presto possibile, magari parcheggiandolo in una casa di cura.

E il ricorrere alla chirurgia estetica è un sintomo di cancellazione e anche prova di un senso di ribrezzo che l’incedere del tempo ci provoca. L’uomo ha paura di invecchiare, perché sa che deve fare i conti con un altro interrogativo esistenziale, la morte. Si tratta di un argomento tabù per l’uomo contemporaneo: della morte non si parla tra gente “per bene”, è un tema che “non esiste” e che ci illudiamo di poter eludere, quasi che il bisturi del chirurgo plastico ci avesse finalmente donato l’elisir dell’eterna giovinezza e dell’immortalità.

Ma siamo sicuri che vivere per sempre non potrebbe tramutarsi in una condanna? Si immagini, il lettore di vivere eternamente su questa terra, in un lento, progressivo invecchiamento e ricordi che, nell’Odissea, quando la ninfa Calypso domanda ad Odisseo se voglia diventare immortale, egli saggiamente risponde di no, preferendo l’amore di Penelope e l’invecchiare con lei ad una vita fatta di innaturale durata. Odysseo, il saggio, vuol forse insegnarci che il limite è bello e che la negazione del limite non può ricondurci a Itaca