
Svjatlana Aleksijevič vince il Premio Nobel per la Letteratura 2015. Da autentica odyssea.
«Recentemente mia figlia se ne è venuta fuori con queste parole: “Mamma, se metterò al mondo un piccolo mostro, gli vorrò bene lo stesso”. Ma si rende conto? Sta finendo le medie e ha già di questi pensieri in testa. Le sue amiche… pensano tutte a questo. A una coppia di nostri conoscenti è nato un bambino, talmente desiderato: il primo figlio! Di una coppia giovane e bella. Ma è nato con una bocca che gli arriva fino alle orecchie, che però non ci sono…».
Solo un frammento dal Monologo di un mostriciattolo che verrà comunque amato. Il racconto è di Nadezda Burakova. A raccoglierlo, Svjatlana Aleksijevič, Nobel per la Letteratura 2015.
Nadezda abita a Chojniki, dove viene raggiunta da Svjatlana dieci anni dopo l’esplosione e il rogo della centrale nucleare. La giornalista incontra anche Evgenij Brovkin, docente all’università statale di Gomel, e Nikolaj Kalugin, un padre come tanti… e centinaia di persone note e meno note che hanno vissuto quel dramma e comunicano il desiderio di vivere.
Le parole degli interlocutori rigano il cuore di Svjatlana come la penna di un sismografo. Nasce così Preghiera per Černobyl’.
Le altre opere dell’Aleksijevič sono concepite allo stesso modo: in Tempo di seconda mano dà voce al dramma collettivo che segna la fine dell’Unione Sovietica e la tormentata nascita di una “nuova Russia”, piena di contraddizioni e degli stessi ambigui personaggi che hanno determinato il crollo della preesistente. In Ragazzi di zinco si occupa del conflitto russo-afghano, mettendo in discussione, attraverso le testimonianze dei reduci, ciò che l’Unione Sovietica definiva “intervento umanitario” agli inizi degli anni Ottanta. Entra in uno scenario storico e interroga per anni i superstiti, inaugurando nuove prospettive sociali e letterarie.
Ecco cos’ha di speciale questa donna irrequieta, nata in Ucraina e cresciuta in Bielorussia, poi in esilio volontario a Parigi per quindici anni, infine nuovamente a Minsk, dove la raggiunge la notizia del Nobel mentre stira in casa: fa la giornalista prima che la narratrice; antepone il viaggio, l’incontro e l’ascolto al piacere di vergare carte o digitare testi rimanendo seduta alla scrivania; preferisce leggere le vicende umane a partire dalle testimonianze anziché dai documenti ufficiali; afferma il primato delle piccole storie rispetto alla grande storia; narra i sentimenti per capire gli avvenimenti. Una rivoluzione copernicana! Da autentica odyssea.
Per Svjatlana Aleksijevič la letteratura è intimamente legata al quotidiano. È un romanzo di voci, un reportage narrativo, una storia corale. Da cui trae speranze e disperazioni: navigano insieme ai grandi ideali. Che, appunto, vanno incarnati e manifestati nei cantieri della cronaca. Dove tutto è concreto. Anche la materia ha un’anima.
Così, a chi le chiede come utilizzerà il denaro del Premio Nobel, risponde con semplicità: «Per essere più libera, e rendere più libero il mio popolo».