«Abbandonarsi significa lasciar andare il bisogno di controllare e permettere alla vita di accadere»
(Eckhart Tolle)
«”Si vola solo poggiando su cose leggere”…sono d’accordissimo ma quanta tecnologia c’è dietro a quel telaio leggero? Quanta Conoscenza ci vuole di noi stessi e di come funzioniamo, prima di riuscire a fare quei passi leggeri? Credo che tutti dovrebbero fare un percorso profondo in se stessi per riuscire a perdonarsi anche le proprie meschinità. È evidente che un percorso del genere tu hai avuto il coraggio di intraprenderlo …e in buona parte ti sei “Risolto”».
Caro lettore, adorata lettrice,
il caffè di oggi vuole proporsi come una sorta di sequel di quello di domenica scorsa e il commento che hai appena letto me lo ha mandato in privato un carissimo, e molto attento, lettore.
Quando ti rivolgono apprezzamenti come questo, confesso, il rischio di “levitare” c’è davvero e, infatti, io gli ho risposto come un vero pirla!
Incurante del suo “in buona parte”, con un misto di presunzione e stupidità, come è noto le due cose camminano spesso insieme, gli ho risposto: «A caro prezzo, amico mio!».
Come dire: non solo, con infinita presunzione, gli confermavo che, in effetti, mi sento “risolto”, ma pure che sono stato capace di pagare un “caro prezzo” per arrivare a tanto.
Tipica stupidaggine da pallone gonfiato: presente!
Per fortuna, la riflessione (non quella dell’antipatico Pirandello), ti permette di rientrare in te stesso e ti concede una seconda possibilità. Nel mio caso, oltre a farmi prendere coscienza di quanto ti vado confessando, mi ha permesso di ipotizzare che la risposta giusta avrebbe potuto essere un’altra: «Amico mio, non risolto: arreso!».
Ecco, sì. Arreso. Arreso alla finitudine. Arreso ai miei errori che mai riesco ad evitare. Arreso al mio essere un inguaribile immodesto affetto da eccessiva “self-confidence”. Arreso al bisogno di riconoscersi mancante. Arreso alle mie contraddizioni. Arreso al perdono che libera te e chi ti incontra. Arreso al fatto che nessuno può farcela da solo. Arreso al bisogno che gli uni abbiamo degli altri: con vincoli di tenerezza. Arreso ai Doni che arrivano inattesi e cercati, attesi e immeritati. Arreso all’evidenza: siamo umani, siamo carne e sangue, non siamo perfetti né impeccabili, mai saremo Dio.
E visto che ho osato nominarlo, Dio!, quale che sia il modo in cui tu lo concepisca o non lo concepisca, caro lettore, adorata lettrice, ti posto un altro commento, giunto da chi per me è un fratello d’elezione, un vero fratello maggiore: «Il termine “creatura” che è quello che, secondo me, meglio ci descrive, porta inscritto in sé, in quanto perifrastica attiva latina, contemporaneamente, la nostra natura ed il nostro compito: siamo in continuo, incessante, inarrestabile stato di creazione; non siamo mai dati una volta per tutte e per sempre. Non siamo creato né Creatori, ma creature. Il principio di non appagamento è insito in noi. Se solo ne avessimo consapevolezza e lo prendessimo sul serio…».
Creature. “Creature arrese” e “che stanno per crearsi”. Meraviglia. E gratitudine.
Che poi, in dialetto napoletano, “creatura” lo si dice dei bambini.
Appunto.
Gillian Lynne: «Vivere è come essere bambini in un negozio di caramelle: c’è così tanto da scoprire e da meravigliarsi».
Henry Ward Beecher: «La gratitudine è come un fiume che scorre: più la si usa, più diventa grande».
Teilhard de Chardin: «Siamo creature di carne e spirito, di razionalità e immaginazione, di terra e cielo».
Il mio essere irrisolto ho difficoltà a farlo convivere con la “resa” e questo sottolinea la presunzione di estrema consapevolezza di me stesso.
Fortunatamente ho una moglie che mi fa da specchio parlante che non si ferma all’immagine: mi guarda dentro… ma quanto è difficile 😞
Caro Michele,
è proprio il caso di dire: “Grazia a caro prezzo!”.
Un abbraccio.
Grazie Paolo: meraviglia e gratitudine di creature arrese ma sempre in divenire. Quanta verità in queste parole!!
Grazie a te, Riccardo: si tratta di verità di e per poveri…
Pensi che Maria quando disse “sì” pur sapendo di non essere nulla di fronte a Dio, si sia arresa ? Riconoscere la propria miseria puoʻ condurci a un atto inaudito: gettarci nelle braccia di Dio nell’assoluta e totale fiducia. Allora un verbo al passivo si trasforma in un gesto potentissimo…
La piccola Teresa diceva: la mia debolezza è l’ascensore che mi conduce a Dio
Grazie, Susanna: un commento “vertiginoso”! Non me ne sento degno, ma ti sono profondamente grato. Grazie!