«L’uomo vorrebbe essere egoista e non può. È il carattere più impressionante della sua miseria e la fonte della sua grandezza»

(Simone Weil)

Caro lettore, adorata lettrice,

capita anche a te?

Intendo, succede anche a te che qualcuno proprio ti disconosca, pronunci su di te una sentenza capitale, dica di te ogni male possibile, ma che tu, dentro di te, gli risponda: «No, io non sono quel che tu dici»?

E viceversa, ti succede di ricevere lodi sincere, fin troppo generose, apprezzamenti quanto mai lusinghieri, e pensare tra te e te: «My Darling, stai proprio esagerando: se tu sapessi chi sono veramente!».

Ecco, il punto: chi sono io, chi sei tu, veramente?

Elisa canta che siamo “genio e sregolatezza”. Peraltro, anche senza scomodare Walt Whitman (non cito Pirandello perché mi sta antipatico…), chi di noi potrebbe affermare di non avere in sé moltitudini? Chi, con Neytiri di “Avatar”, potrebbe dire a se stesso: «Io ti vedo» nel senso di: «Finalmente ti ho capito!»?

Non so tu, ma di certo non io.

È che noi sfuggiamo a noi stessi, siamo «protesta del mistero», direbbe Mounier. Siamo “in-comprensibili”, cioè non possiamo essere  compresi, né “compressi”, non possiamo essere “contenuti” in un’unica definizione. Siamo più delle parole, anche se delle parole non possiamo fare a meno.

Siamo angeli e demoni, poesia e prosa, cuori magnanimi e pusillanimi, capaci di visioni e gretti. Carne, sangue e merda. Tanto grandi quanto meschini.

Io, almeno, spesso così mi sento e, tutto sommato, penso di poter vivere con gratitudine una forma di consapevolezza che non mi esalta nel successo – … tanto io “mi so”! – e non mi abbatte nella contestazione e nella sconfitta: tanto io “non” sono quello!

In fondo, chi di noi dice il tutto e il contrario di tutto, dice il vero: solo che dice anche il falso nel momento in cui assolutizza un punto di vista, che generalmente è il suo.

La verità è forse che io sono “e” questo “e” quello. E che la vita è attraversamento: un cammino, più che un traguardo. “Itaca”, di Konstantinos Kavafis, docet.

Per dirlo con le parole suggeritemi giorni fa da un’adorata lettrice e che appartengono a Viktor Frankl: «Tra stimolo e risposta c’è uno spazio. In quello spazio sta il nostro potere di scegliere la risposta. Nella risposta sta la nostra crescita e la nostra libertà».

E, dunque, è proprio meraviglia, essere umani! Voglio dire: che bello, non essere mai arrivati, mai del tutto compiuti né definiti, perfettamente imperfetti, sempre “da fare”, mai “portati a termine”.

Chi lo scrive, è uno che di DNA fa il perfezionista: pensa tu che “switch” abbia dovuto compiere, e stia ancora compiendo, per arrivare a confessarti simili sragionevolezze maturate nel dialogo tra me e me, tra me e te, caro lettore, adorata lettrice.

Del resto, forse ricorderai che non è la prima volta che te ne scrivo.

Brunori SAS canta: «Vivere è come volare, ci si può riuscire soltanto poggiando su cose leggere». Allora che sia leggero il tuo passo. Che tu possa essere misericordioso con te stesso o con te stessa: vedrai, ti aiuterà ad esserlo anche con gli altri. Che tu possa “vedere” le persone prima di giudicarle. Che tu possa smettere di giudicare per restare nell’eterno tentativo di comprendere. Che tu possa essere grato o grata. Che tu possa essere felice. E in cammino. Sempre e ancora sempre.

Finché morte non ci separi: oppure ci unisca.

Walt Whitman: «Certo che mi contraddico! Sono vasto, contengo moltitudini».

Ludwig Wittgenstein: «Non temere mai di dire cose insensate, ma ascoltale bene quando le dici».

Laurie Anderson: «Tu stai camminando e non sempre te ne rendi conto, ma stai cadendo. Ad ogni passo cadi leggermente in avanti e poi ti rialzi. Di continuo cadi e di continuo ti rialzi. E questo è il modo in cui tu cammini e cadi allo stesso tempo».


FonteFoto di copertina: Zambana (TN), photocredits di Paolo Farina
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

6 COMMENTI

  1. Il lupo della steppa win generale tutti i libri di H.Hesse mi sono venuti in mente dopo queste riflessioni coraggiose sull’inclusivita’ della nostra
    e dell’altrui molteplicità

  2. Leggendo il tuo articolo, Paolo, mi è scaturito questo sonetto. Un caro saluto. Salvatore Memeo.

    Mi sento in apnea nello sterco
    In mezzo a tanta gente frettolosa
    Un lupo solitario senza il branco
    Che ha perso ogni iniziativa e slancio.

    Ma quanto è vero siamo un po’ di tutto:
    Pastori, poverelli e pur mafiosi
    Con contrastanti idee in processione
    Si gode assai piangendo la ricchezza,

    Si ride mal pesando l’avvenire,
    Si canta un po’ stonata la vittoria
    Di una guerra, se si vedrà la fine…?

    Si brinda alla salute ormai precaria,
    Si prega assai di rado e convenienza
    Mentre si aspetta…senza aver pazienza.

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