
Il contributo di Alexandre Koyré
Stiamo assistendo a dei diversi tentativi in corso per far naufragare quella ancora debole e fragile creatura umana che è la democrazia, tra l’altro faticosamente conquistata grazie al sangue versato da chi ha combattuto per essa anche se, a dirla con Gaetano Salvemini, rimane un ‘purgatorio’ sempre comunque preferibile come tale all’’inferno’ delle dittature; e per evitare di ‘trasformare in cenere il fuoco’ che l’ha tenuta e la tiene in vita, come scrive Silvano Tagliagambe nella fascetta gialla, è utile dare uno sguardo ad un breve scritto, apparso nel 1945, di uno storico e filosofo della scienza come Alexandre Koyré (1892-1964), di origine russa e poi francesizzato, ed ora disponibile in traduzione italiana dal titolo La quinta colonna, a cura di Marco Dotti (Milano, Meltemi 2025), nella collana ‘Melusine’ che si distingue nel fornire brevi ma illuminanti contributi. Corredato da una post-fazione dal significativo titolo ‘Polis parallela’ da parte del curatore che evidenzia le circostanze e le motivazioni che ne stanno a monte, tale scritto si presenta come una lucida analisi delle diverse ragioni che portarono alla sconfitta dei sistemi democratici europei, tema che si presentò quasi come un dovere etico-politico da parte, com’è noto, di figure impegnate a capire tale tragico evento a vario livello; ma è da ricordare che il nome di Koyré è legato per lo più a dei lavori come De la mystique à la science, Studi galileiani, Studi newtoniani, Dal mondo chiuso all’universo infinito, La rivoluzione astronomica, opere che sono diventate punti di riferimento per diverse generazioni di storici e filosofi della scienza, oltre a Introduzione a Platone, Scritti su Spinoza e l’averroismo, La filosofia di Jakob Böhme e altri ancora.
Ma c’è stato un ‘Koyré in incognito’, come recita il titolo di un lavoro di Paola Zambelli del 2016, con una sua ‘vita segreta’ e ‘via laterale’, come le chiama di Marco Dotti, per le molteplici attività ‘sovversive’ prima da studente in Russia e poi con l’arruolamento nella Legione Straniera per avere la cittadinanza francese col diventare molto probabilmente un agente a Mosca durante il primo conflitto mondiale. Oltre ad aver frequentato alcuni circoli fenomenologici a Gottinga dove si occupò di filosofia della matematica con David Hilbert, nel paese d’oltralpe prese dopo la guerra il dottorato con l’insegnare e assumere presso l’École Pratique des Hautes Études la direzione del centro-studi su l’Histoire des idées religieuses per poi occuparsi di storia delle idee scientifiche; in seguito all’occupazione nazista, approdò a France Libre a New York col partecipare alle attività dell’École libre nel 1942, nata come Università della Francia libera. Ed in tale istituzione fondò e diresse la rivista ‘Renaissance’, che ospitò un importante scritto sulla menzogna politica e La quinta colonna, scritti che nel loro insieme ci restituiscono un Koyré engagé nella difesa dei valori democratici e nelle analisi delle diverse strategie messe in atto per indebolirli sia dall’esterno e sia soprattutto dall’interno. In tale scelta hanno giocato i suoi non comuni e particolari interessi per il mondo della scienza analogamente ad altre figure di epistemologi francesi dell’epoca come Jean Cavaillès e Albert Lautman, fucilati come Resistenti dai nazisti, ed Hélène Metzger, deportata ad Auschwitz nel mettere in atto una resistenza in nome della ‘vera filosofia e della vera scienza’(Hélène Metzger: la complessità come rimedio razionale, 20 agosto 2020); tali figure poi pongono un problema, non preso in adeguata considerazione, cioè il fatto che siano state ‘resistenti’ proprio grazie alla presa in carica del pensiero scientifico, mentre altri più noti filosofi francesi e di orientamenti diversi sono rimasti quasi disimpegnati col lasciare stare il loro ‘cervello per il dopo’, come ha scritto con ironia ed amarezza un altro storico e filosofo della scienza, e ‘Resistente’ in nome delle scienze biologiche, come Georges Canguilhem.
Alexandre Koyré, pur in esilio negli Stati Uniti e con una non comune militanza alle spalle, sin dalle prime pagine del saggio pone sul tappeto il ruolo cruciale che hanno avuto le quinte colonne durante la guerra; ma esse possono continuare ad avere spazio anche “in tempo di pace” nel minare le fondamenta dei sistemi democratici e vanno, pertanto, individuate per farvi adeguatamente fronte. Ci ricorda che tale termine, pur “nuovo”, è un fenomeno presente in molti eventi storici dalla guerra del Peloponneso in poi, ma dato che “la conoscenza della storia è così poco diffusa nel mondo”, non è stato tenuto in debita considerazione non notandone la “venerabile antichità”; esso è stato coniato dal generale Franco durante la guerra civile spagnola per designare il fatto che a fianco delle normali colonne, le armate lanciate verso la capitale, agiva ‘col trovarsi già là’ una “interna” come un vero e proprio “nemico interno”, col permettere così all’esercito assediante di rendere più facile la sua conquista. Ci vengono dati degli strumenti per capire “il carattere peculiare del nemico in questione” anche se esso è “solo un caso molto particolare di un tipo di nemico molto più ampio” e che viene a prendere forma in diverse occasioni e da parte di alcuni gruppi nella “Città umana, entità complessa”; tali gruppi vengono chiamati “geni invisibili” col diventare al suo interno “strutture tipiche ed essenziali” con l’obiettivo di “determinare il ruolo che, in queste strutture, spetta alla quinta colonna”. Essa viene così ad assumere un carattere “del tutto speciale e particolare” in quanto “fenomeno di lotta (o guerra) civile e, più precisamente, sociale” dovuto al fatto che viene meno la solidarietà per il prevalere “dell’odio sociale che divide e oppone i gruppi e le classi all’interno della Città”.
Col fare riferimento all’analisi di Platone sull’evoluzione interna della città oligarchica, Koyré è dell’avviso che quando sono in ballo gli interessi dell’oligarchia dominante “composta dagli aristocratici di oggi e soprattutto da quelli di domani”, essa si trasforma in un nemico interno; in tal modo la quinta colonna farà “la sua comparsa” coll’essere e presentarsi in modo strutturale come un “fenomeno di controrivoluzione, e ancor più precisamente di controrivoluzione preventiva”. Le quinte colonne contengono per questo “un elemento di tradimento” nel senso che sono il frutto di “intelligenza con i nemici della nazione”. Pertanto, il fenomeno della quinta colonna o quintocolumnismo va individuato nell’essere un movimento strutturale di “controdemocrazia”, evidenziato molto lucidamente da Koyré, come scrive nella postfazione Marco Dotti nel rappresentarne ‘una sorta di dittico politologico tutt’altro che estemporaneo’ alla luce del suo engagement; quella che viene chiamata ‘l’inattuale attualità’ di tale scritto è in grado di darci una non comune ottica ‘attraverso cui leggere e rileggere le dinamiche di tradimento che attraversano le società democratiche e i regimi totalitari, e le compenetrano’.
Koyré ci offre, pertanto una non comune ‘lezione’ nel sottolineare il ruolo di ‘erosione interna’ alle democrazie giocato dalla quinta colonna, che per Dotti è una ‘categoria attualissima per interpretare la vulnerabilità delle istituzioni contemporanee di fronte a nuove forme di disinformazione e di manipolazione’; se essa poi viene accompagnata dalla “menzogna politica”, che gioca a sua volta il ruolo di ‘consolidamento’ messo in atto dai regimi nel continuare le proprie “cospirazioni alla luce del sole” col mettere in campo la suggestio falsi e la suppressio veri, come viene scritto in Sulla menzogna politica, viene a giocare con maggiore forza il ruolo di tradimento col portare allo ‘sfinimento morale capace di operare anche in sonno, in attesa che la quinta si ricongiunga alle altre colonne’. Per questo, non si può non essere d’accordo con Marco Dotti nel ritenere, ciò che Koyré ci consegna, sia una vera e propria ‘lezione’ ancora strategica per ‘mantenere vigile, in questo passaggio d’epoca, il rapporto tra sapere ed impegno, verità e libertà’ e per coltivare insieme ‘la visione di un’altra polis, possibile, plausibile’.
Dato che oggi si sente sempre più, nonostante tutto, la necessità di una Polis di carattere mondiale col costruirvi una conseguente e nuova Paideia, come ci insegnano Stephen Toulmin (Rileggere la nostra storia col dono agapico della complessità, 28 marzo 2024) e Mauro Ceruti (Il volto agapico della complessità nello sbrogliare il garbuglio umano, 18 novembre 2023), diventa cogente individuare, per neutralizzarle in tempo, le diverse forme di ‘quinte colonne’ che si mettono in campo in diversi settori dall’economia alla scuola, sia visibili che nascoste, per erodere i valori democratici; essi hanno al loro interno degli strumenti come i saperi umanistici che non a caso vengono sempre più emarginati (I saperi umanistici sempre più in difesa della democrazia, 15 dicembre 2022), ma sono indispensabili per coltivare il ‘fuoco della democrazia’ e non ridurla in cenere. E in questo percorso se gli stessi saperi scientifici col loro pieno di verità e ben metabolizzati sul piano storico-concettuale, come Alexandre Koyré insieme ad altre figure del panorama epistemologico francese del primo ‘900 ci ha indicato, vengono tenuti presenti, diventano a loro volta strategici nel narrare la situazione odierna pluriarticolata e cosmopolita sulla quale, però, da più parti si continua a mentire, a dirla con Simone Weil, creando così delle quinte colonne che agiscono prima ‘svuotando le teste’ alla luce del sole per poi incunearsi nel tessuto sociale col rendersi quasi indispensabili e neutrali per le sorti umane. Nella ‘Città complessa’, come la chiamava Koyré, siamo tutti invitati a dare un contributo teso a scovare quel ‘nemico interno’ che prende piede a nostra insaputa, armati solo del ‘fuoco della verità’, per riprendere un’espressione di Pavel Florenskij (Pavel Florenskij: il fuoco della verità, 16 gennaio 2020), che riusciamo a immettervi e che ci garantiscono condizioni di libertà; nello stesso tempo tutto ciò serve a farci comprendere che la democrazia è una creatura fragile, costruita su palafitte nel senso di Karl Popper, sempre alle prese con venti avversi che vanno individuati e possibilmente orientati per non esserne travolti.