il contributo di Enzo Di Nuoscio

Se i  nemici  della democrazia o, per meglio dire, dell’essere democratici sono  oggi più visibili dato che  provengono sia dall’esterno che  dall’interno per le diverse disfunzioni  dovute anche al fatto  che i cittadini non si educhino a  prendere coscienza che in essa sono i maggiori  e diretti protagonisti  e nello stesso tempo responsabili, molto meno risultano gli anticorpi che sia storicamente e sia in modo strutturale l’hanno caratterizzata  e che continuano a mantenerla tale pur dovendo fronteggiare ulteriori  e decisive sfide, come quella della globalizzazione, l’avvento di tecnologie sempre più sofisticate ed invasive ed i problemi planetari che richiedono soluzioni rapide e radicali cambiamenti negli stili di vita. Ci viene in aiuto in tal senso l’ultimo lavoro di Enzo Di Nuoscio  I geni invisibili della democrazia. La cultura umanistica come presidio di libertà (Milano, Mondadori 2022),  filosofo della scienza da tempo impegnato nel ridisegnare i contorni di una strategia rivolta all’analisi delle sorti della democrazia e alla sua continua difesa; e tale esito è l’approdo di un percorso frutto di una non comune coscienza storico-critica che sia stata una delle più decisive conquiste, anche se faticosa e dolorosa,  dell’umano  sulla scia dei contributi di vita e di pensiero di figure del primo Novecento come Gaetano Salvemini e di Karl Popper che ne hanno vissuto sulla loro pelle uno dei momenti più drammatici.

Diversi sono gli insegnamenti ritenuti sempre  più attuali tratti da queste fondamentali figure che, per parafrasare lo stesso Salvemini, costringono a prendere atto che sta a noi scegliere o di impegnarci a ‘migliorare il purgatorio della democrazia’ o di ‘cadere nell’inferno della dittatura’ e nelle sue più sofisticate pieghe che sta prendendo ultimamente  e non facilmente individuabili; e Di Nuoscio ci aiuta  a metabolizzare il fatto che essa, come ogni costruzione umana, è una creatura storica venuta a costituirsi nel mondo greco che riuscì a darle vita grazie all’invenzione della riflessione filosofica  orientata  a dar conto delle ragioni dell’episteme classica, la conoscenza matematica, nel tentativo di trovare dei punti in comune (assiomi) per renderla più stabile e sicura. Come ‘la vera scienza’, per usare un’espressione di Hélène Metzger degli anni ’30 del ‘900,  è  imperfetta, sempre in fieri in quanto   non sorretta da fondamenti assoluti;  e, pertanto, le sue palafitte, a dirla con Popper, sono sì fragili ma necessarie da costruire e ricostruire giorno per giorno con l’inventarsi strategie inedite e percorsi non esaustivi. E soprattutto non bisogna rimanere “perplessi”, come ci invita Di Nuoscio, di fronte agli immancabili errori che la costellano con l’obiettivo  di partire da essi per correggerla insieme con la presa d’atto che “i principi democratici non vanno presi alla lettera perché sono principi regolativi” ed hanno bisogno di una lunga  maturazione per realizzarsi adeguatamente e per portare a termine quella  che viene chiamata “una lenta rivoluzione omeopatica’  data la presenza di diversi vincoli.

Tale aspetto strutturale o ‘gene’ del sistema democratico va reso il più possibile  ‘visibile’ col farlo diventare un’acquisizione socio-epistemica di fondo in quanto  per Di Nuoscio è stato un fattore non secondario che sia nel recente passato e sia ancora oggi in alcuni contesti ha dato e dà adito  ai suoi ‘nemici’, che possono annidarsi dovunque, per screditarlo nel confonderne i  “difetti con la prova del suo fallimento”; e per evitare un esito del genere sempre in agguato diventa, pertanto, necessario dotarci di strumenti adeguati per gestire la complessità sistemica dei problemi odierni che possono trasformarsi in serie minacce se affrontati con punti di vista obsoleti imperniati su quello che Mauro Ceruti ha chiamato il ‘sovrano sotterraneo’ rappresentato dal paradigma della semplificazione. Per liberarci dal morbo della semplificazione  e per disinfettarci da esso (La complessità come disinfettante,  27 agosto 2020)  in quanto viene ad inquinare in varie direzioni lo stesso spirito delle democrazie col metterle sullo stesso piano delle altre opzioni politiche, non a caso lo stesso Di Nuoscio rivolge il suo invito contemporaneamente sia ai ‘nativi democratici’, cioè a coloro che non hanno vissuto direttamente la guerra e la dittatura, che ai nativi digitali o meglio al ‘cittadino digitale’, invaso dal sempre più crescente “mare magnum”  di informazioni, per attrezzarsi sul piano concettuale ed esistenziale ad attivare sempre più i ‘geni invisibili’ e a coltivarli con somma cura in quanto sono in gioco le nostre sorti insieme oggi a quelle dell’intero pianeta; ed uno dei terreni fertili da arare  e da cui attingere a piene mani è quello di utilizzare le diverse “risorse” provenienti dall’ambito delle  discipline umanistiche e sociali che si nutrono al loro interno di alcuni “valori” proprio per la loro vocazione strutturalmente storica.

Tale  sana vocazione, diventata di base anche nelle stesse  cosiddette scienze dure grazie alla comprensione del loro essere espressione  dei vari livelli del reale o meglio dei loro incroci come ci  insegnano  Jean Piaget  ed il pensiero complesso, ci ha liberato dai “miti dei valori assoluti” con dei benefici teorici ed esistenziali di non poco conto, una volta però che le stesse discipline umanistiche  e soprattutto quelle storico-sociali abbiamo messo da parte il loro a volte essere “al servizio di ideologie” e di “autorità supreme” che le deviano dai loro obiettivi primari di essere comunque dei percorsi di verità sul mondo umano, anche se non facili date le poste in gioco di interessi in cui sono coinvolte, come ben chiarito da Michel Foucault in  Microfisica del potere  da una parte e dall’altra da Raymond Boudon in A che serve la sociologia? Ma esse, se ‘rettamente comprese’ a dirla con Pierre Teilhard de Chardin, portano in dono una ‘vigilanza epistemologica’ non comune e aprono la strada ad  una mente o  esprit ouvert, come in varie sue opere ci ha insegnato Gaston Bachelard; soprattutto per Di Nuoscio, autore tra l’altro di diversi lavori su Boudon,  “favoriscono lo spirito critico” col diventare delle  vere e proprie “sentinelle” e guardiani dei principi democratici.

In tal modo diventano dei ‘geni invisibili’  che devono albergare nelle menti sia dei ‘nativi democratici’ che  dei cittadini digitali che,  avvolti nelle spire e  nelle contingenze del presente, soffrono, a volte  ideologicamente orientate, di deficit del senso storico, l’unica strada ritenuta strategica per comprendere che la democrazia non è un fenomeno irreversibile; come è successo nel corso del ‘900 e continua ancora ora con forme più subdole e quindi più difficilmente individuabili, i suoi ‘nemici’ sono sempre all’orizzonte ed in agguato, prendono nuove sembianze approfittando delle ingenuità o di quelle che  Enzo Di Nuoscio chiama “false certezze” esistenti che concorrono a fare pensare che sia “una conquista definitiva” . Analogamente a ciò che diceva Blaise Pascal nei riguardi della ragione che è sufficiente un alito di vento per oscurarla,  la stessa cosa può investire i principi democratici se non vengono continuamente alimentati con l’esercizio critico a cui abituano il praticare le discipline umanistiche a partire in primis dalla filosofia per finire  alla storia e alla filologia e alle stesse arti che nel loro insieme ci offrono una pluralità di ottiche con cui confrontarsi senza cadere in posizioni unilaterali nel farci uscire dal nostro recinto e apprezzare la diversità.

Esse ci offrono  dei veri e propri ‘rimedi razionali’, nel senso propostoci da Hélène Metzger (Hélène Metzger: la complessità come rimedio razionale, 20 agosto 2020) più in grado  di combattere per la “sopravvivenza della democrazia” e di come irrobustirla di fronte alle sfide epocali che ci attendono; e nello stesso tempo ci permettono di forgiare degli strumenti per reagire meglio per Di Nuoscio al “disagio provocato dall’incapacità di comprendere la complessità del mondo digitale globalizzato” e per non cadere “vittime di emozioni, di istinti, pulsioni che sfuggono al controllo della ragione critica, dei dogmi ideologici sempre pronti ad incunearsi in menti no attrezzate”. Il possesso del corredo concettuale delle discipline umanistiche aiuta a “convivere con l’incertezza senza rinunciare alla ricerca della verità”, “favorisce il dibattito pubblico, cuore della democrazia”, come avvenne nell’Atene del quinto secolo  quando si discuteva nell’agorà il senso degli asserti conoscitivi col portarli nel cuore della polis e gestirla meglio; gli studi filosofici, filologici e storici sono, pertanto, considerati degli efficaci “vaccini” non solo contro le ricette semplicistiche che vengono proposte per cercare di risolvere in situazioni di crisi questioni di per sé già complesse, come quelle che ci circondano in ogni angolo della terra,  ma soprattutto contro “chi  presume di avere verità assolute”  e di trovare dei capri  espiatrori.

Inoltre, sono ritenuti gli unici strumenti che servono per “combattere il fenomeno della diffusione di false notizie” e nello stesso tempo “per orientarci nelle gestione delle informazioni”; ed I geni invisibili della democrazia si rivela essere un lavoro utile per i ‘nativi democratici’ ed i cittadini digitali nel fornire le basi  di una cultura comune per l’essere ed agire veramente come democratici; ed è teso ad aumentare le loro “difese immunitarie” nei confronti dei diversi ‘nemici’ della democrazia che la dipingono a volte come qualcosa di cui si può fare a meno specialmente oggi, dove in alcuni ambiti si fa strada l’idea che le stesse tecnologie possano guidare le nostre vite quando siamo noi che le dobbiamo orientare grazie al bagaglio delle conoscenze umanistiche. Ed il lavoro di Enzo Di Nuoscio ci aiuta a mettere in atto una vera e propria “profilassi” contro i furori ideologici di cui si ammantano le variegate posizioni antidemocratiche con il loro portato di esiti devastanti; e anche se la democrazia, come si dice spesso, è prosaica nel senso che non permette di guardare al mondo in termini idilliaci e paradisiaci come pretende il variegato  e falso mondo delle ideologie, va comunque salvaguardata proprio con la coscienza che essa è sì un ‘purgatorio’ con le sue fragilità ed incertezze, ma ci preserva dalle pene dell’inferno, in cui volte siamo caduti perché l’abbiamo combattuta o sottovalutata e non fatta nostra.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.