di Savino Gallo

Nel 1848 Marx ed Engels pubblicavano il “Manifesto del partito comunista”. Ovviamente lo spettro era quello del comunismo, dopo oltre 170 anni quello spettro si è dissolto e ne è comparso un altro, il “populismo”.

Definire cosa sia il populismo è operazione per nulla facile. Il vocabolario della Treccani riporta questa definizione: “atteggiamento ideologico che, sulla base di principî e programmi genericamente ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi.”

Storicamente i primi fenomeni di populismo risalgono al movimento dei “narodniki” nel 1870 in Russia e, soprattutto, al “People’s Party”, costituitosi nel 1891 negli Stati Uniti, che intendeva condurre una lotta radicale contro la finanza, la grande industria e le élite in generale.

Il conflitto tra popolo ed élite richiama un altro passaggio del “Manifesto del partito comunista” che recita: “La società intera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente opposte l’una all’altra: borghesia e proletariato.” È la prima caratteristica che accomuna comunismo e marxismo, la polarizzazione della società: da una parte il proletariato o il popolo, dall’altro la borghesia capitalistica o le élite. È una polarizzazione che spesso acquisisce un carattere più morale che politico.

La polarizzazione è una forma eccessiva di semplificazione della complessità di una società, con la sua stratificazione di prestigio, di potere e di reddito. Per usare una metafora, la società è una piramide con più gradini intermedi tra base e vertice, la polarizzazione la riduce a due gradini, base amplissima (il proletariato o il popolo) e un piccolo vertice (borghesia o élite). Fu questo errore di valutazione che consentì l’affermarsi del fascismo, la piccola e media borghesia, dinanzi al rischio della rivoluzione comunista e della proletarizzazione, scelse di allearsi con l’alta borghesia e di rinunciare allo Stato liberale, divenendo la base di consenso del fascismo.

Vi sono quindi numerosi punti di contatto tra il conflitto di classe di Marx e dei marxisti e le rivendicazioni dei movimenti populisti.

Fin qui le similitudini, ma vi sono anche diverse e sensibili differenze.

Il proletariato di Marx si individua chiaramente in base al ruolo svolto nella struttura economica del capitalismo, individuare con chiarezza cosa sia il popolo è più difficile, ammesso che sia possibile. Le definizioni che si trovano in un vocabolario sono numerose e non sempre coerenti. Un fatto è tuttavia certo, i regimi democratici definiscono il popolo come l’unica fonte di legittimità. È evidente nella nostra Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.” Va evidenziato che i nostri padri costituenti subito dopo aver attribuito la popolo la sovranità, pongono allo stesso i vincoli di una Costituzione rigida.

Porre il popolo quale fonte di legittimità per i regimi democratici fu l’unica scelta possibile per i rivoluzionari francesi nel momento in cui avevano abbattuto le forme di legittimazione dello ”ancien régime”.

Il concetto di popolo, che tutti abbraccia, ricorda, forse consapevolmente, quello del “corpo mistico” della teologia cristiana (Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Lettera ai Galati).

I cittadini di uno Stato non sono un “corpo mistico”. La società è composta di classi, di ceti, di ruoli e gerarchie di ruoli, di una serie di differenze e frammentazioni da cui conseguono i conflitti che attraversano tutte le società.

Il comunismo intendeva giungere al “corpo mistico” nella società senza classi, quindi senza gerarchie e ruoli, che sarebbe sorta in assenza della proprietà privata e con la socializzazione dei mezzi di produzione.

Il populismo non intende invece cambiare la struttura economica della società, il capitalismo non è in discussione. Il nemico sono le élite, non una classe sociale. È banale far notare che il grande imprenditore, il grande professionista il dirigente di una grande impresa possono essere collocati al di fuori delle élite dominanti solo con un grande sforzo di fantasia. Tuttavia la retorica populista si fonda su una rappresentazione monolitica del popolo, che diviene appunto un “corpo mistico” di cui il populismo pretende di essere il solo soggetto che comprende ed è in grado di difendere il suo interesse, dando per scontato che questo sia chiaramente individuabile e definibile.

Il mondo reale è cosa ben diversa. Nelle democrazie liberali i partiti, che il populismo considera per definizione una casta preoccupata di salvaguardare i propri privilegi, per poter avere la possibilità di una vittoria alle elezioni devono necessariamente proporre programmi in grado di ottenere il consenso di più gruppi o classi sociali soggetti che hanno spesso interessi eterogenei e non poche volte antagonisti, il che comporta una serie di inevitabili mediazioni e compromessi.

Il populismo si manifesta invece, per mantenere integro il corpo mistico del popolo, in un radicalismo semplicistico che conduce a programmi ridotti a pochi slogan. Uno solo è il punto saldo, l’eliminazione delle élite.

Ciò che si coglie è che il populismo sia soprattutto la manifestazione di frustrazione, rabbia esasperazione, che i sistemi di rappresentanza politica non sono stati in grado di comprendere, soddisfare e controllare. Privi di forme di sintesi e di aggregazione reale questi sentimenti si esprimono nelle forme di individualismi rabbiosi, con una violenta e brutale semplificazione. Fondamentale in tal senso è stato il ruolo svolto dai social network, che hanno la caratteristica di essere sostanzialmente chiusi all’esterno, ambienti sigillati che contengono soggetti con caratteristiche molto simili, nonché l’anonimato che i social garantiscono e il conseguente venir meno di freni inibitori. Comprendere le ragioni di questo individualismo rabbioso è un passaggio fondamentale.

Dal punto di vista del consenso politico si è dinanzi ad un ribaltamento dei modi tradizionali della competizione elettorale. Questa è stata centripeta, oggi è divenuta centrifuga, sono gli estremismi a definirla e spesso a determinarla. Anche in questo caso i social media hanno svolto un ruolo determinante. Il rapporto con l’informazione e la sua interpretazione è divenuto immediato, sottraendosi al dibattito da parte dei mediatori tradizionali, come la stampa ed i partiti, con il lavoro informativo e pedagogico svolto. Altro aspetto, sempre connesso ai social media, è che le questioni complesse, che richiedono conoscenze e tempi adeguati per la loro comprensione, sono rifiutate, definendole arbitrariamente come prive di senso.

Il punto è che il rifiuto della mediazione e dei mediatori tradizionalmente riconosciuti corrode le basi su cui è costruita la democrazia liberale, fondata sulla mediazione dei rapporti sociali e politici. Siamo dinanzi ad un mutamento rivoluzionario. La rivoluzione dei sistemi di comunicazione ha accelerato ulteriormente la dissoluzione dei legami comunitari, la società è composta sempre più da soggetti isolati, individualisti all’estremo, motivati e spesso spinti con manipolazioni da passioni ed impulsi in luogo dell’adesione razionale e riflessiva a valori, idee, principi e proposte. Tra queste le passioni dominanti sono il risentimento, la frustrazione, il rancore, l’odio verso le élite, ma anche nei confronti dell’altro, del vicino, dello straniero, dello sconosciuto. È questo il quadro che emerge nei social network, forse minoritario, ma è un quadro desolante. Sono manifestazioni che fanno tornare alla memoria le pagine più tristi del Novecento e la mentalità dominante del populismo è di estrema destra.

Un fatto da considerare è che mentre in passato l’offerta politica di sinistra incanalava la protesta e le frustrazioni, questa si è quasi dissolta e la sola offerta politica disponibile è divenuta quella di destra. I francesi sono stati i primi a rendersi conto che il Front National era il primo partito del voto operaio di Francia.

Il popolo come “corpo mistico” implica inevitabilmente l’esclusione di tutto ciò che possa mettere in discussione la sua unità. L’immigrato diviene il soggetto estraneo che mette in dubbio questa unità. Le difficoltà nell’integrazione degli immigrati, le differenze culturali e religiose, la concorrenza (reale o immaginaria) nel mercato del lavoro, le politiche sociali verso i soggetti disagiati, fra cui rientrano spesso gli immigrati, hanno contribuito a rendere l’immigrazione la principale preoccupazione delle fasce di popolazione più inclini alla propaganda populista.

Il passaggio successivo, ossia il richiamo all’identità culturale, alla tradizione, al nazionalismo, è stato quasi automatico e con esse le rivendicazioni di una “preferenza nazionale”, coniugato con un elemento nuovo, definibile come “individualismo popolare”.

L’individualismo è stato un carattere storicamente distintivo della borghesia, piccola, media e grande, per la quale la società era intesa come il coesistere di persone autonome l’una dall’altra ed in cui l’ordine sociale si fonda su relazioni di tipo contrattuale. I non borghesi vivevano invece all’interno di un complesso di relazioni in cui prevaleva il senso di appartenenza ad una comunità, dove gli interessi e i fini collettivi erano prioritari rispetto ai fini e agli interessi individuali. Oggi il senso di appartenenza alla comunità, sulla cui base era sorta la “coscienza di classe” del marxismo, si è dissolto, sostituito con l’individualismo popolare.

L’aspetto contraddittorio del richiamo all’identità culturale e alla tradizione è che l’individualismo popolare del populismo non considera rilevanti, se non ignora, le istituzioni tradizionali che hanno retto nel periodo storico successivo alla Rivoluzione francese la coesione sociale: la famiglia, la religione, l’associazionismo, i partiti, i sindacati. L’ostilità nei confronti delle istituzioni sociali di mediazione e rappresentanza, congiuntamente all’individualismo popolare, rende il populismo incline alla rappresentanza del “capo carismatico”, che diviene il solo soggetto che può dar voce al “corpo mistico” del popolo. L’identità e la tradizione della nazione così intesi ricordano, purtroppo, degli eventi tragici del secolo scorso, il mito di un’unica volontà irrazionale dalla quale le masse si sentono espresse che ha caratterizzato i totalitarismi. Le posizioni populiste coincidono con quelle dell’estrema destra, che ha sempre coltivato il culto dell’autorità del capo considerato unico interprete della volontà del “popolo”.

Il populismo pretende di essere l’interprete autentico della democrazia, ma l’idea di democrazia del populismo ha tutti i caratteri dell’autocrazia. Della democrazia rimane il simulacro delle elezioni che consacrano la tirannia della maggioranza, contestualmente al rifiuto delle garanzie liberali.


LASCIA UNA RISPOSTA

Please enter your comment!
Please enter your name here