
Il contributo di Fabio Ciracì
Molti nel corso dei secoli hanno tentato, con le sole forze della ragione e con gli strumenti ermeneutici a disposizione, di ‘sbrogliare quel garbuglio’ che è l’uomo a dirla con Blaise Pascal, a capirne il carattere dilemmatico in quanto produttore sia di ‘Bibbie che di cannoni’, per parafrasare una idea presente in L’uomo senza qualità di Robert Musil; ed il tutto, dal pensiero filosofico-scientifico alle arti e da diverse prospettive, è stato ed è ancora orientato a illuminare la struttura della natura umana, ‘il fatto umano’. Comunque, continuano a rimanere ‘profonde zone d’ombra’ che non permettono di cogliere così ‘l’unità complessa della nostra identità’, come ha scritto Edgar Morin, il nostro essere sapiens/demens(Edgar Morin, voce ‘delle verità polifoniche della complessità’ 18 giugno 2020); ma dato che in questi primi decenni del XXI secolo si ha sempre di più a che fare con diverse sfide provenienti dalla maggiore presa di coscienza degli inediti problemi di natura planetaria da richiedere interventi a volte radicali per far fronte alle carenze anche del nostro recente passato, sta diventando sempre più necessario elaborare mirate strategie di pensiero, per comprendere più in profondità le diverse dinamiche che stanno a monte di fenomeni che con varie modalità si presentano nel corso del tempo con tutto il loro corredo di tragiche conseguenze.
Tra questi fenomeni storici assume particolare rilevanza oggi più che mai il razzismo e, se indagato con appropriate metodologie di ricerca come ha fatto Fabio Ciracì nel recente studio Sul razzismo. Strutture logiche e paradigmi storico-filosofici (Milano-Udine, Ed. Mimesis 2024), si rivela essere un autentico ‘evento di verità’ a dirla con Alain Badiou, nel senso che costringe a fare i conti con noi stessi e i nostri fondi più nascosti non sempre limpidi, e a non più rimuoverlo, come spesso è accaduto e accade tutt’ora. Nello sviscerane le complesse articolazioni, il merito di tale lavoro è, infatti, quello di invitarci a mettere in piedi una serie di strumenti concettuali tesi a costruire dei veri e propri ‘rimedi razionali’, nel senso avanzato da Hélène Metzger (Hélène Metzger: la complessità come rimedio razionale, 20 agosto 2020), per farvi fronte come intera comunità. E questo trova le sue ragioni nel fatto che nella nostra era, era dell’Antropocene e periodo da più parti indicato come età di profonda riflessione, tutto va ripensato ab imis, anche perché il futuro del pianeta dipenderà sempre di più dalle nostre irreversibili scelte; e per questo obiettivo la riflessione filosofica, pure con le sue sempre ‘fragili sintesi’, come le ha chiamate Michel Serres, frutto del confronto critico con le conoscenze prodotte nei singoli ambiti scientifici, si rivela più che mai indispensabile per offrire un quadro di insieme dei problemi e dei fenomeni, del resto necessario per indicare una possibile via e per non agire alla cieca.
Si muove su tale linea Sul razzismo, frutto non a caso di diverse iniziative e giornate di studi sul razzismo organizzate in questi ultimi anni con la stretta collaborazione di studiosi di vari ambiti coinvolti presso l’Università del Salento; e senza nessun dubbio, nel panorama italiano, si presenta come uno dei più riusciti ed organici tentativi, alla luce dei risultati del più sano pensiero filosofico-scientifico odierno, di individuarne le “strutture logiche e i paradigmi” che nel corso dei secoli lo hanno sorretto non solo sul piano delle idee. E tale operazione si rivela più che mai necessaria, dato anche che il razzismo, sotto nuove forme e a volte non facilmente percepibili, cova fortemente in vari contesti da richiedere figure impegnate a vario titolo per spiegarne le origini (Il razzismo può essere spiegato e mediato da insegnanti intelligenti, 20 febbraio 2020), sia per avere più coscienza del peso che ha avuto nelle faccende umane e sia per immunizzarci. Del resto, come insegnavano i Maestri Greci, compito primario del pensiero è quello di entrare nelle diverse pieghe del reale, di togliere quel velo che lo copre e spesso da noi stessi costruito, e non avrebbe senso se non fosse in grado di cogliere l’essenza di un fenomeno al di là dell’apparenza, per parafrasare una idea espressa da Marx in Il Capitale. Fabio Ciracì, come coordinatore nazionale delle ‘Giornate di studio sul razzismo’ e attraverso l’ottica sia pure aggiornata su più punti della ‘teoria critica classica’, grazie alla presa in carica dei contributi più recenti della Critical Race Theory, ci aiuta a comprendere che apparenza ed essenza del razzismo, dovuto in particolar modo in questi ultimi tempi a quel globale “fenomeno dell’immigrazione”, non coincidono; e soprattutto ci invita a non assuefarci ad esso, a non cadere in atteggiamenti “fatalistici e di indifferenza”, diventati a loro volta “strumenti ideologici a favore della discriminazione razziale” con la tendenza a rimandare il tutto ad “astratti tempi migliori”, se non addirittura a farlo vedere come un “incontrovertibile fatto di natura”, che poi sono il risultato sul piano concreto del ‘deserto del pensiero’, per usare delle espressioni degli anni ’70, comuni non a caso a figure come Paolo VI ed Edgar Morin.
Da ogni capitolo si evince il fatto che in primis esso razzismo “non è eterno”, essendo ovviamente un prodotto umano; e, attraverso “la critica immanente delle forme di vita della società odierna” se ne possono riconoscere le modalità storico-concettuali con le quali si è affermato, condizione sine qua non per individuarlo correttamente, per sconfiggerlo e gettare le basi di un diverso approccio ai fatti umani, basato su “un’etica solidaristica” e di tipo sempre più cosmopolita, come da più parti viene indicato come ultima chance per salvare il pianeta e le forme di vita ivi presenti. E a tal fine uno dei risultati più interessanti sul piano ermeneutico, ottenuti da Fabio Ciracì come storico e filosofo della cultura e frutto della non comune metabolizzazione della ricca anche se chiaramente non omogenea letteratura scientifico-filosofica, è quello di evidenziare nelle diverse parti del volume le complesse e per questo non facilmente percepibili ‘strutture logiche’ attraverso cui il razzismo, “da visione implicita del mondo, perviene storicamente a ideologia”, che poi sono logiche con le quali i fatti umani in genere si auto-costituiscono per legittimarsi ed imporsi in modo pervasivo. Sono emersi in tal modo nella loro nuda e cogente verità i caratteri tipici e la reale portata degli enjeux (poste in gioco) del razzismo che si è retto e si regge il più delle volte in modo sistematico e strutturale sulla falsificazione e deformazione ad hoc di risultati scientifici, operazioni che prima o poi vengono regolarmente smontate. In tale non facile percorso vengono a svolgere un ruolo cruciale “le categorie concettuali” a monte nel loro storico incontro-scontro come “l’opposizione storia/natura, la tendenza essenzialista e il postulato della purezza (del sangue o del colore o del tipo), la polarità identità/polarità, il parallelismo fisico-psichico, la classificazione gerarchica del genere umano, la lotta per la memoria, il dinamismo evoluzione/degenerazione”.
Su tali basi prendono terreno storicamente nelle varie epoche “i maggiori paradigmi e le principali linee genealogiche del dominio” a partire dall’idea greca di xénos e di straniero nell’impero romano; si gettano luce sulle origini religiose del mito del sangue, sulla limpieza de sangre del 1492, sulle cause del razzismo fenotipico e naturalistico tra i secoli XVIII e XIX, del razzismo dello spirito, sul mito ariano del popolo tedesco, sul razzismo del sangue, sull’iperrazzismo e razzismo nero per finire alle teorie del complotto, al sovranismo odierno e al recente fenomeno della cancel culture. Finalizzato a tale obiettivo, nello stesso tempo Fabio Ciracì ci consegna una non comune immersione nella storia della filosofia a partire dall’essenzialismo di Platone, dove rileva “l’analisi paradigmatica del razzismo” vista presente nel terzo libro della Repubblica per spiegare la diversità fra gli uomini nel coprire un certo ruolo nella polis; viene poi a mettersi “all’ombra dei Lumi” col seguire le tracce dei vari Hume, Voltaire e Kant per verificarne la loro “posizione” non sempre lineare e non esenti da evidenti “contraddizioni” e “pregiudizi”, come l’oscillare nei confronti dell’idea di razza con delinearne quattro da parte di Kant stesso “tra il concetto in senso essenzialista oppure in senso storico-evolutivo” ed “in base agli studi naturalistici del suo tempo”.
Non poteva non mancare una parte dedicata al cruciale tema del rapporto tra “scienza e razzismo” col fare assumere al termine ‘selvaggio’ uno specifico significato in epoca moderna con tutto il dibattito filosofico (Montaigne, Diderot, Rousseau) e la relativa letteratura (Daniel Defoe, Pierre de Marivaux, Rudyard Kipling) che ne seguì. Oltremodo interessanti le pagine incentrate sul “razzismo scientifico”, messo in piedi tra ‘800 e ‘900 con le analisi dei lavori di Ernst Haeckel, riconosciuto da più parti come ‘antesignano dell’eugenetica razzista’ e poi “apprezzato dal Terzo Reich”, di Francis Galton per finire a Max Nordau e Cesare Lombroso col prendere in considerazione la visione degenerazionista da questi ultimi propugnata. Il razzismo scientifico viene considerato una “particolare forma di razzismo ammantata di principi un tempo giudicati scientifici, ma ormai dimostratisi pseudoscientifici”; non a caso è stato possibile metterlo definitivamente da parte grazie a più recenti ricerche che hanno condotto all’incontrovertibile ‘fallimento scientifico del concetto di razza nell’uomo’, come si dimostra nei lavori di Luigi Luca Cavalli-Sforza, e alla simbiontologia, fondamentale ramo della biologia odierna che sta facendo vedere a più livelli il nostro essere intrecciati con altre forme di vita.
Ma dato che il razzismo scientifico è stato una delle fonti non secondarie del “razzismo ariano” con l’alimentare l’eugenetica nazista e se non ben identificato come tale può diventare la cornice di altri tentativi del genere che stanno covando in certi ambiti, giustamente Fabio Ciracì nella seconda parte del volume Sul razzismo vi dedica un ampio e denso capitolo, le cui pagine possono aiutare a comprendere meglio di tanti lavori storici le dinamiche dell’antisemitismo e del discorso antiebraico, su cui si era soffermato lo stesso Lombroso di origine ebraiche nelle pagine dell’Antisemitismo e le scienze moderne del 1894, prese in esame; infatti, non a caso, ci viene offerta una non comune lettura di tale tragico periodo attraversato dall’intero continente europeo che, pure avendo nelle sue vene il pensiero critico, venne meno nel momento decisivo, come hanno affermato in particolar modo tre figure femminili, la più nota Hannah Arendt, Simone Weil ed Hélène Metzger. A tal fine vengono sfruttati alcuni recenti lavori sui Wagnerismi in voga in più settori, come li ha chiamati nel suo monumentale lavoro dallo stesso titolo Alex Ross che, a sua volta, fa sua e sviluppa una tesi contenuta in Wagner antisémite del 2015 di Jean-Jacques Nattiez; questi ha sostenuto che il celebre compositore tedesco fu forse il primo ‘a compiere la transizione tra le due forme di antiebraismo’, cioè ad abbracciare la visione antiscientifica dell’inferiorità biologica della razza ebraica mettendo da parte la precedente ‘base religiosa’, con l’operare una ‘trasformazione decisiva’ sino a “epurare la stessa origine ebraica di Gesù “da farne il “capostipite dei Nibelunghi”, come sottolinea a sua volta Ciracì che analizza vari scritti wagneriani per tracciare la matrice, il “furore antisemita”.
Ma non mancano le disamine di altre posizioni di figure non tedesche, come quella “in senso spiritualistico” di Joseph de Gobineau e quella di “razzismo romantico” e “di tipo evolutivo alla René Guénon”. Si illustrano, inoltre, le posizioni del genero di Wagner Houston Stewart Chamberlain che distingueva solo due razze umane, “quella pura germanica (armonica, metafisica) e una razza non ariana (materialistica)”, e di Otto Weininger con la sua simbologia. Poi vengono scandagliati “l’iperrazzismo di Julius Evola, ‘il razzismo fenotipico’, un’altra forma di “razzismo essenzialista” nel dare un connotato decisivo ad un elemento visibile come il colore della pelle, che per Ciracì ha anche “profonde radici culturali” dove basta, come negli USA, ‘una sola goccia di sangue africano per definire un individuo come nero, mentre in Brasile lo status di classe media rende bianca la carnagione umana’ sulla scia delle analisi condotte da Francisco Bethencourt in Razzismi; molte opportune le pagine sul “razzismo nero” da parte di alcune comunità di colore e sul movimento panafricano, le cui vicende vanno comprese “sullo sfondo del processo storico di dominazione europea in Africa”.
Sul razzismo, inoltre, da una parte ci fa vedere che i pregiudizi razziali sono presenti non solo in ampie aree della società e nelle menti di figure poco originali, ma anche in “veri e propri giganti del pensiero” filosofico e scientifico (ad es. come nel padre dell’etologia Konrad Lorenz e del genetista James Watson, i cui contributi “trascendono la loro individualità” e vanno riconosciuti “in toto”); e dall’altra, con l’aiuto di pochi del passato come Denis Diderot o Alexander von Humboldt, aiuta a prender atto che deriviamo da ‘una stessa radice’, a “spiegare la natura di certi errori senza però giustificarli” e di valutarli “secondo il modello di una storia critica per dirlo con Nietzsche”. E Fabio Ciracì, nelle ultime pagine, ci invita a prendere giustamente le distanze dal recente fenomeno cosiddetto della cancel culture, teso a togliere di mezzo statue e commemorazioni di personaggi storici che hanno portato avanti le tesi razziste; e tal fine la ricostruzione storica del razzismo e delle tragedie che ha provocato lungo i secoli è ritenuto uno strumento indispensabile per gettare le basi di una “memoria condivisa”. Eliminare la memoria sarebbe una ferita ancora più grave in quanto comprometterebbe la possibilità “di imparare dagli errori del passato, di farne tesoro”; per questo, guardare la famosa scritta messa sul cancello di Auschwitz, entrare in altri campi di concentramento, visitare il museo antropologico lombrosiano di Torino, sostare su tanti luoghi di sterminio, di genocidio e di schiavizzazione sia del passato che del presente è ritenuto fondamentale per non ricadere in posizioni essenzialiste e nativiste, per “risemantizzare la memoria con un esercizio critico” e per non lasciare “aperte le porte all’alterazione della storia e al negazionismo”, anticamera della “manipolazione ideologica”, sempre in agguato.
In questi ultimi giorni stiamo assistendo in Italia, e non solo, ad episodi simili rivolti a sterilizzare la memoria che non può essere elusa anche se si fa di tutto per svuotarla dei contenuti veritativi col renderli arbitrari e mere opinioni; ma se si mente sui fatti accaduti, prima o poi si vendicano a dirla con Simone Weil, citata nella penultima pagina a proposito della colonizzazione, sino a portare alla ‘privazione della stessa anima degli uomini’ se non si riappropriano della storia attraverso quell’atteggiamento da “sano ‘realismo negativo’”, a dirla con Umberto Eco, posizione fatta propria da Fabio Ciracì, secondo cui è impossibile “afferrare la verità eterna delle cose”, ma nello stesso tempo “nemmeno dichiarare il falso”. E Sul razzismo, lungi dall’essere frutto dello sforzo storico del “terzo occhio di Dio sul mondo”, viene a giocare un preciso ruolo in questo cruciale momento nel senso che, nell’invitare a fare i conti col razzismo, si porta avanti contestualmente, sulla scia di Enzo Traverso, ‘una battaglia per la memoria’, che può essere in termini di Simone Weil un modo per s’enraciner su nuove basi e presentarsi come dei nuovi ‘Adami sulla sponda del Rubicone’, a dirla con Kant (La complessità: un pensiero delle radici sulla scia di Simone Weil, 13 giugno 2024 e Come essere nuovi ‘Adami sulla sponda del Rubicone, 22 agosto 2024).