Spacciato per un antico metodo di “rimorchio”, in realtà un comportamento non degno di uomo…

Sappiamo tutti che, durante la stagione degli amori, le varie specie animali dispongono di una serie di mosse, dettate dall’istinto, utili per accoppiarsi: alcuni esemplari maschi eseguono delle danze, altri disperdono i propri feromoni, altri emettono particolari suoni.

In questo articolo approfondirò uno dei metodi di approccio di una specie animale a noi molto vicina: l’uomo. Tra le varie metodologie di approccio vi sono quelle utilizzate nelle pubbliche vie: alcuni esemplari maschi, di specie umana, alla vista della donna, emettono sonori fischi, spesso accompagnati da “abbellaa!”; altri eseguono pedinamenti, affiancandosi con le proprie auto e cercando di convincere la malcapitata a farsi un giro con loro; altri ci passano accanto e magari si tolgono lo sfizio di palparne il posteriore.

I metodi che ho elencato rientrano tutti nella definizione di “cat-calling”, letteralmente, “chiamare un gatto” (un gatto, appunto!) e di “molestie di strada”.

Siamo d’accordo nel definire l’uomo un animale, ma il primo, a differenza del secondo, dovrebbe tendere a ragionare, cogliendo l’essenza vera del “cat-calling”, quella di un atto molesto o fastidioso o irrispettoso, che spesso può generare vergogna o paura nel diretto interessato.

L’ultima vittima di questa pratica è stata Aurora Ramazzotti, che si è sfogata sui social per aver ricevuto diversi richiami da esemplari maschi (sia chiaro, per chi scrive, non si tratta di uomini) mentre faceva jogging, a suo dire, “vestita da maschiaccio”. Intendiamoci, anche se Aurora avesse fatto attività fisica con un outfit “provocante” la cosa non sarebbe stata meno grave.

Ne è scaturita una battaglia nei commenti, in cui Aurora è stata definita una “raccomandata” (perché figlia di Eros Ramazzotti e Michelle Hunziker) e presa in giro solo perché si lamentava di “due fischi per strada”.

Ogni tanto, quando mi interfaccio con cotanti sproloqui, mi chiedo dove sia finita la razionalità e il buon senso dell’uomo. Ancora oggi spuntano i soliti leoni da tastiera che giustificano certi comportamenti e, non contenti, accusano di “vittimismo” per “due fischi”. Nessuno di loro (ma anch’io, essendo un uomo) sarà in grado di comprendere quanto umiliante possa essere ricevere commenti sessisti da parte un esemplare maschio, e spesso non avere neanche la forza di rispondere per la paura di ritorsioni. Sì, perché non possono conoscersi le reali intenzioni dietro un fischio di richiamo o un commento sessista.

Il “cat-calling” costituisce reato negli ordinamenti francese, filippino, statunitense: sostanzialmente, in tutti e tre gli stati le molestie di strada sono punite con sanzioni pecuniarie o, in casi più gravi, con l’arresto.

In Italia, non esiste una fattispecie apposita, ma i comportamenti potrebbero rientrare nel reato di “molestie o disturbi alla persona” (art. 660 codice penale), che però protegge la “l’ordine e la tranquillità pubblica” e non la personalità individuale: per cui, il comportamento sarebbe punibile solo fintantoché abbia leso la quiete pubblica. Ancora, tali comportamenti potrebbero integrare il reato di “atti persecutori” (stalking, art. 612-bis codice penale), ma solo qualora siano abituali e reiterati nel tempo: in altre parole, servirebbe che una donna venga molestata ripetute volte dallo stesso esemplare maschio o gruppo di esemplari maschi. Il diritto italiano, quindi, tutela solo di riflesso le vittime di “cat calling” o qualsiasi tipo di molestie di strada.

Augurandomi che in futuro questi episodi ottengano il giusto divieto sancito dalla legge, forse è tempo, pertanto, che alcuni esemplari maschi diventino uomini e si astengano da questi comportamenti che, oltre a risultare offensivi o umilianti per una donna, risultano sgradevoli e maleducati. Gli australopitechi, forse, avrebbero avuto più rispetto.