
La storia del grande salto
Solo un cast che comprende gente del calibro di Ben Affleck, Matt Damon, Vola Davis, Jason Bateman, avrebbe potuto raccontare l’epopea commerciale e sportiva di Michael Jordan. Diretto dallo stesso Affleck, “AIR – La storia del grande salto” è un film proiettato al futuro nonostante viva ambientazioni Anni Ottanta, con annessi rimandi musicali.
La trama è Storia. Una storia americana, la favola del rookie Jordan, diventato prima sophomore e poi leggenda, un modello per i più giovani, ma, forse, un modello di scarpe indossate a costo di pagare multe salatissime, a costo di imprimere il proprio nome nelle coscienze degli sportivi.
Le “Air Jordan” segnano un’epoca, rappresentano l’inizio della svolta, il primo atleta a trasformarsi in un’azienda, gli interessi personali che travalicano palmarès e trofei. Una scommessa, quella di Sonny Vaccaro e Phil Knight, che brucia nell’ardore di una lungimiranza.
Quell’occhio che scruta la diversità di un gesto tecnico, movenze da felino per chi, Jordan, decide di consacrarsi rilanciando le ambizioni imprenditoriali della Nike, dea della vittoria, sbaragliando la concorrenza di Adidas e Converse, stabilendo un budget identificato in una sola persona, un gigante di classe e determinazione, ovattato da sua madre Deloris, tormentato dall’uccisione di suo padre, giocatore di baseball e redivivo della pallacanestro.
Il Michael Jordan di Affleck non viene mai inquadrato, come se nulla potesse descrivere tale grandezza, l’ansia di lasciare ai posteri un sogno è riscontrabile dal linguaggio serrato e scurrile, un’urgenza che si fa calma nella consapevolezza di ritrovarsi di fronte ad una infinita ricchezza e ad un immenso Mito.