Bowie

Il pianeta Terra è molto più triste senza David Bowie, la più grande rock star che sia mai scesa in questo o qualsiasi altro mondo.

Era il vagabondo fugace, la stella più bella che abbia mai gridato “Tu non sei solo!” a un’arena piena di bambini solitari del mondo. Qualunque sia la versione di Bowie che si è amata di più – il glam Starman, il cantastorie esile, l’arciduca di Berlino – ci ha fatto sentire più coraggiosi e più liberi, che è il motivo per cui il mondo si sentiva diverso dopo averlo ascoltato. La sua astronave sapeva sempre dove andare. Per questo ha ispirato una così fervida devozione.

Il suo genio ha ispirato il pop e il rock creando ed ispirando i più svariati trend artistici. È stato capace di trasmettere sentimenti di gioia o perdita o meraviglia in pochi minuti, rispetto a tanti artisti che non sarebbero riusciti a farlo in un’intera carriera. Basta ascoltare con attenzione una playlist delle sue migliori canzoni che attraversa una carriera lunga più di quaranta anni, dai fervidi e favolosi anni ’60 fino ai giorni nostri. Intuendo prima di tutti i cambiamenti musicali e sociali. Ci ho provato qui: una guida approssimativa di Bowie, dal 1969 di “Space Oddity” fino all’uscita di “Black Star” della scorsa settimana e del singolo “Lazarus”.
Si tratta di un vero viaggio che prende testa e cuore: una vera “odissea” tra le sue “stranezze”.

Space Oddity (1969)

David Jones passa gli anni ’60 alla ricerca di sé stesso con un unico obiettivo: lasciare il segno in qualche modo. E la strada che decide di percorrere è quella della musica. Collabora con piccole band londinesi quali i Manish Boys e pubblica un singolo con i King Bees: The Laughing Gnome. Ma stenta a sfondare, finchè non conosce Elton John e il produttore Gus Dudgeon con cui scrive “Space Oddity”, meritandosi la ribalta nei migliori club di Londra. Un lavoro interminabile, che non ha mai convinto del tutto Bowie, tanto da far uscire successivamente diverse versioni della ballata sull’astronauta più famoso della storia del Rock: Major Tom. Fortuna vuole che la pubblicazione dell’album avvenga in concomitanza con lo sbarco dell’Apollo 11 sulla Luna e che la BBC selezioni il pezzo per la copertura dell’evento. Prima di pubblicare il disco cambia nome in David Bowie (per evitare l’assonanza con Davie Jones). È nata una stella.

The man who sold the World (1970)

Prima collaborazione con gli Spider from Mars, la sua band di sempre, per questo album del 1970, la cui traduzione suona come “L’uomo che vendette il mondo”. Il suono cambia: abbandona il folk britannico alle spalle e sperimenta un rock alternativo. Saranno i fatti a dargli ragione. Il titolo è ispirato al romanzo “L’uomo che vendette la Luna” di Robert A. Heinlein. “Questa canzone per me ha sempre sintetizzato il come ci si sente quando si è giovani, quando si sa che c’è un pezzo di te che non hai ancora messo insieme davvero”, ha detto Bowie nel 1997. “Hai questa grande ricerca, questo grande bisogno di scoprire chi sei veramente.”
Molti artisti, nella loro carriera, hanno fatto una cover di questa canzone, la più famosa quella dei Nirvana in unplugged su MTV. Lo stesso Kurt Cobain ha dichiarato che “The man who sold the World” è uno dei suoi 50 album preferiti, un fatto che ha sempre inorgoglito Bowie.

Changes (1971)

La storia del rock di inizio anni ’70 è piena di artisti diventati poi one-hit wonder: meteore della musica con un solo grande successo e una vita piena di fallimenti. La carriera di David Bowie era a questo bivio. A due anni dall’uscita di “Space Oddity”, la musica continuava a cambiare e tanti artisti, famosi e meno famosi, pubblicavano album a ritmi anche di tre in un anno.
In questo contesto Bowie pubblica Hunky Dory, realizzando una riflessione sui cambiamenti della vita. E lancia un avvertimento: “presto avrete intenzione di ottenere più soldi, più fama, ma resterete senza seguito.” Bowie dirà di Changes che è pensata come una “parodia di una canzone da discoteca”, ma è finito per diventare un inno rock, con tanto di balbuzie in voce, tastiere e sax ispirata da “My generation” degli Who.

Life on Mars (1971)

https://youtu.be/v–IqqusnNQ

Bowie racconta la storia di una ragazza sola con “i capelli color topo” che si rifugia al cinema per sfuggire dai suoi problemi con i genitori e se stessa. Il testo cita molte scene dai film più disparati, risultando dopotutto irrilevante. Il supporto dalla musica degli Spiders From Mars, con una sezione d’archi alla base, e il piano di Rick Wakeman, alzano il tono artistico del brano. Il canto presenta la migliore espressione vocale della carriera di Bowie. È quasi una mini opera all’interno di un singolo di quattro minuti: “Questa canzone è stata così facile. Essere giovane è stato facile”, dirà Bowie al Sunday Mail nel 2008.
Nasce ed esplode il Glam Rock: look curato, colorato e vistoso (glamour), di moda in Gran Bretagna e nelle grandi metropoli americane, antidoto all’eccessiva rigidità dell’epoca.

Five years (1972)

Comincia la saga di Ziggy Stardust and the Spider for Mars.
La Terra aveva solo altri cinque anni e Ziggy, il suo alter-ego alieno, vi è sceso per diffondere un messaggio di speranza. “Five Years” è la traccia di apertura dell’album “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars”, la vera svolta di Bowie. Sul palco Bowie canta con disperazione un singolo che potrebbe essere un dipinto impressionista. “Ziggy è in una posizione in cui tutti i bambini abbiano accesso a cose che hanno pensato di volere” ha spiegato Bowie in un’intervista del 1974 per Rolling Stone: “Le persone anziane hanno perso ogni contatto con la realtà ed i bambini sono lasciati da soli a saccheggiare il nulla.”

Starman (1972)

Parliamo di uno concept album che rimarrà tra i capolavori della storia del rock: The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. La canzone inizialmente non era prevista all’interno dell’album, ma diventerà subito una hit e il singolo di riferimento dello stesso. Ispirata a “Over the Rainbow” e “You Keep Me Hangin’ On” delle Supremes, ha giocato un ruolo enorme nel presentare Ziggy Stardust a un pubblico di massa, anticipando il ruolo sempre crescente della tv nella  società moderna.
Ad ogni spettacolo e apparizione televisiva Bowie si presenta con vestiti molto colorati ed eccentrici, rendendo verosimile nell’immaginario collettivo il ruolo di alieno camaleontico, al punto da portarlo ad Hollywood nel 1976 a recitare nel film “The man who fell the earth”.

Rebel Rebel (1974)

Due anni dopo la nascita del Glam Rock con Ziggy Stardust, Bowie dice addio al genere, ormai in declino, con questo pezzo simbolo di ribellione, sposata presto dai più disparati movimenti giovanili. Scritto per un mai realizzato musical di Ziggy Stardust, è ispirato all’attore Wayne County, transessuale di New York. Il riff di chitarra pare, notizia mai confermata né smentita, sia di Keith Richards, storico chitarrista dei Rolling Stones. Durante le sessioni in studio di Diamond Dogs, Bowie conoscerà gli Stones, e l’elegante riff richiama molto alle sonorità di Keith. “E ‘un riff favoloso”, ha detto Bowie più tardi. “Quando l’ho sentito per la prima volta ho pensato ‘Oh, grazie!'”. Diventerà una delle sue canzoni più eseguite di sempre.
Bowie avrà in futuro parecchie collaborazioni e featuring con i più svariati artisti internazionali, che gli riconosceranno le capacità di interprete poliedrico e sempre all’avanguardia.

Fame (1975)

Scena: New York, superattico con vista sullo skyline della città. Party di Liz Taylor, con tutto ciò che ne consegue.
“Ho avuto tutto quello che volevo, tranne i Beatles”, dice un estasiato Bowie a John Lennon per rompere il ghiaccio. Pochi mesi dopo, agli inizi del 1975, erano entrambi a New York: Bowie, che stava lavorando sull’album Young Americans, invita Lennon in studio per lavorare su una cover di “Across the Universe”. Lennon, che non era mai stato troppo felice della versione dei Beatles di quella canzone, accettò. Durante la sua visita, si divertirono in jam session finché il chitarrista Carlos Alomar tirò fuori un riff estremamente funky. Bowie si avvicinò con i testi e cominciò a mettere in rima “Fame” (fama) e “Pain” (dolore), “quello che ti piace è nella limousine.” Lennon aggiunse cori e chitarra. Il risultato fu il primo e unico singolo numero uno di Bowie nelle classifiche americane.
Un groove così di impatto, che James Brown lo riutilizzò nello stesso anno per “Hot (I need to be loved)”

Station to Station (1976)

È il debutto del Duca Bianco, il magro duca bianco. Appellativo che resterà per sempre nella storia di David Bowie. “Un personaggio davvero brutto”.
Erano anni di eccessi, soprattutto di cocaina, al punto che Bowie ha sempre avuto difficoltà a ricordare i passaggi che hanno portato alla registrazione di uno dei suoi più grandi LP. Il brano eponimo è ricco di immagini che fanno riferimento al buddismo e al cristianesimo, il titolo stesso allude alle stazioni della Via Crucis di Cristo, dando una fotografia istantanea del Duca, un macabro aristocratico che cerca l’amore nell’occultismo e nell’edonismo (“E non sono gli effetti collaterali della cocaina / sto pensando che debba essere l’amore “). Il disco verrà definito epico e futuristico dalle migliori testate specializzate.
E’ il suo album più lungo di sempre oltre ad essere un indicatore della sua prossima fase musicale, influenzata e ispirata alla musica elettronica dei Kraftwerk.

Sound and Vision (1977)

“Moderatamente interessante”: così Rolling Stone accolse nel 1977 l’uscita di Low. Oggi è universalmente riconosciuto come un classico. Bowie continuava a sperimentare la sue sonorità, passando dal rock al soul al funky, per questo fu accusato di mancanza di “disciplina” e accolto freddamente dai critici dell’epoca. Il giudizio, però, fu unanime sul genio espresso in  “Sound and Vision”. È un richiamo a Young American, tutto basso e funky, con l’aggiunta però di suoni elettronici mandati in loop dai sintetizzatori come fossero delle diapositive. Solo dopo un lungo ascolto si realizza che i testi parlano della nebbia della depressione: “Niente da fare, niente da dire” canta Bowie in modo scattante e nevrotico. E racconta il blocco dello scrittore quando è nel suo momento più creativo.

Heroes (1977)

https://www.youtube.com/watch?v=Tgcc5V9Hu3g

David Bowie, trasferitosi a Berlino, è alle prese con la disintossicazione e la scrittura di tre album che saranno poi riconosciuti come “Berlin Trilogy”,  ovvero gli album usciti alla fine degli anni 70. Comincia una lunga collaborazione con Brian Eno e il brano inizialmente è pensato come un pezzo strumentale. Solo verso la fine delle sessioni di registrazione Bowie, ispirato da una storia d’amore raccontata e vissuta dal suo chitarrista Robert Fripp, decide di aggiungerci il testo raccontando di due amanti che vivono su lati opposti del Muro di Berlino. La reputazione del brano lentamente crescerà nel corso degli anni, e dalla caduta del muro in poi molti fan giustamente la riconosceranno come uno dei migliori brani dell’enorme catalogo di Bowie.

Ashes to Ashes (1980)

https://www.youtube.com/watch?v=CMThz7eQ6K0

Contenuto all’interno dell’album Scary Monsters (and Super Creeps), Ashes to Ashes sorprende subito per l’innovativo video. Per la prima volta Bowie riporta alla luce uno dei suoi personaggi, il Maggiore Tom, a undici dall’uscita di Space Oddity. Bowie lo usa per raccontare dell’uscita da un lungo periodo di droga. “Cenere alla cenere, funk al funky”. Bowie archivia così il suo passato e torna a splendere di ottimismo, con un aggressivo e allegro synth-funk, tracciando un inquietante ritratto del nostro povero astronauta: “Sappiamo del Maggiore Tom, un drogato/ appeso all’altezza del paradiso / colpire il suolo in una caduta senza fine”.

È un testamento al genio, alla pop art di Bowie. “Ashes to Ashes” è diventato subito un grande successo internazionale.
Importante ricordare come Bowie diventerà sensibile al tema della dipendenza dalle droghe di artisti e musicisti e aiuterà parecchie volte molti suoi amici ad evitare la rovina finanziaria e fisica. Ha prodotto e composto molti album, tra gli altri, per Iggy Pop e Lou Reed.

Under Pressure (1981)

Ancora una collaborazione, questa volta con i Queen di Freddie Mercury. Nel luglio 1981, Bowie sta registrando la title track per Cat People, un film horror-erotico. Per questo andrà a trovare i Queen ai Montreux Mountain Studio per cantare il brano R & B della band “Cool Cat”. Mentre quel brano verrà successivamente scartato, Bowie e il gruppo rielaborano una demo di Roger Taylor  chiamata “Feel Like”, rinominandola prima in “People on Street” e poi in “Under Pressure”, un capolavoro con la linea di basso fatta di groove e funk, e che presto diventerà un inno contro il Thatcherismo, in tendenza con i Clash e numerosi altri gruppi di protesta.
Bowie e i Queen non hanno mai eseguito il brano insieme, ma il cantante spesso ha incorporato la canzone nei suoi spettacoli dal vivo dopo la morte di Freddie Mercury.

China Girl (1983)

https://www.youtube.com/watch?v=E_8IXx4tsus

Questa è innanzitutto una storia di amicizia. Bowie era noto per un vasto repertorio di cover, tra queste “China Girl”, che ha inizialmente scritto con Iggy Pop per l’album “The Idiot” del 1977, un album che Bowie ha anche prodotto. I suoni di chitarra inconfondibili di Stevie Ray Vaughn e una lirica sensuale si uniscono in un capolavoro che arriverà al numero 10 della Billboard Hot 100.
Enterà nell’album Let’s Dance e i proventi delle royalties verranno ceduti interamente all’amico Iggy Pop, in grandi difficoltà finanziarie in quel momento.

Modern Love (1983)

Pubblicato nel 1983, “Modern Love”, è ispirato alla figura di Little Richard.
Il brano rivela il lato più melodico e nichilista di Bowie, aiutato nella composizione dal riff di chitarra di Stevie Ray Vaughan e dal sassofono jazz di Nile Rodgers. Bowie, nonostante faccia un album dichiaratamente commerciale, riflette molto ed esterna i suoi pensieri sulla tradizione, religione e, naturalmente, l’amore. Si concentra sulla ricerca di se stesso ed anticipa il ruolo del romanticismo nell’età moderna.

Sunday (2002)

Dopo anni di silenzio “Nulla è cambiato / Tutto è cambiato”. Così Sunday rilancia il rinnovamento creativo di Bowie, che pubblica l’album Heathen nel 2002. Nei dieci anni precedenti al disco, Bowie si tuffa in un lungo tour mondiale, scrive colonne sonore per il cinema e pubblica con discreto successo alcuni album avvalendosi della collaborazione di molti artisti, tra cui spicca Earthling, in collaborazione con Trent Reznor e i Nine Inch Nails. Con Sunday però cambia qualcosa. Si passa ad un elettro-pop che richiama molto alle sonorità del Nord Europa, con un supporto di cori dal suono sinistro. Annuncia un futuro tetro, che vede in anticipo; non fa nessun riferimento al suo passato che, pare di capire, Bowie ritiene bruciato e irriconoscibile.

Where are we now (2013)

2013 e ancora un sorprendente ritorno dopo anni di silenzio: per la prima volta nella sua carriera, Bowie ha cominciato a riflettere veramente sulle sue epoche passate. Questa tendenza è evidente in molti brani dell’album, tra cui spicca un riadattamento di “Heroes”, ma in “Where are we now” Bowie induce a guardare la sua realtà attraverso i suoi occhi: cita Berlino, la città in cui ha vissuto negli anni Settanta (non il miglior periodo per viverci) durante la creazione di una trilogia di album iconici. La sua voce porta il peso degli anni e dei ricordi; canta con intensità ed emoziona il finale in crescendo, mentre enuncia trionfalmente in coda alla canzone: “Finché ci sono io / Finché ci sei tu”.

Lazarus (2016)

L’ultimo capolavoro della lunga carriera di un vero artista sempre al limite e all’avanguardia con i tempi. Lavora con il rapper Kendrick Lamar e il sassofonista jazz Donny McCaslin in sessioni segrete per il suo 25 ° e ultimo album in studio, Black Star. Registrato durante vere sessioni maratona a partire dal 2014, Bowie avrebbe cantato in studio anche per sette ore di fila. “Lazarus” pare sia stata scritta per l’omonimo musical in uscita a Broadway, con lo stesso nome, che parla di un uomo ricco e solitario che vive a New York.

Con un ritmo ipnotico e sinistro, Bowie evoca il suo personaggio in modo realistico e convincente come ha fatto con Ziggy e il Thin White Duke.  Dopo la morte del cantante, i testi hanno assunto un significato più profondo, dando via al rimbalzarsi sui social:

Look up here, I’m in heaven
I’ve got scars that can’t be seen
I’ve got drama
Can’t be stolen
Everybody knows me now
Oh, I’ll be free
Just like that bluebird
Oh, I’ll be free
Ain’t that just like me?