In letteratura non c’è una vera e propria percezione del mistero, è impossibile crearlo, plasmarlo, spiegarlo. Sicuramente, il genere che dà senso al mistero e al tentativo di mostrarlo a noi comuni mortali è la fantascienza.

Nei giorni di cielo coperto Robert Neville non era mai sicuro del tramonto del sole e capitava che loro uscissero in strada prima del suo rientro. Se fosse stato più analitico, avrebbe saputo prevedere il loro arrivo con una certa approssimazione; ma si ostinava a mantenere l’abitudine di tutta una vita di calcolare il calar delle tenebre guardando il cielo, un metodo che nelle giornate nuvolose non funzionava. Ecco perché in quelle occasioni non si allontanava mai troppo”.

(R. Matheson, Io sono leggenda, 1954)

Richard Matheson ha capito più di ogni altro i nuovi mezzi di comunicazione. Trasferendo il concetto di fantascienza dallo spazio alle strade della nostra città, fino alle vie dell’intimo subcosciente, Matheson aveva fatto capire alla massa ciò che aveva detto Einstein: ‘’La sensazione più bella che possiamo provare è il mistero. È l’emozione fondamentale che sta alla base della vera arte e della vera scienza’’.

In letteratura non c’è una vera e propria percezione del mistero, è impossibile crearlo, plasmarlo, spiegarlo. Sicuramente, il genere che dà senso al mistero e al tentativo di mostrarlo a noi comuni mortali è la fantascienza.

Grandi scrittori come Jules Verne, Philip Dick e Richard Matheson hanno creato mondi che non potevano esistere senza la plausibile impossibilità che la fantascienza riesce a fornire. Ma di cosa si tratta? È scienza, fantasia, profezia o verità? Per trovare una risposta bisogna fare un passo indietro, capire come sia nato il genere e che cosa raccontava quando le astronavi non erano ancora di moda. Doveva sembrare fantascienza la descrizione che Marco Polo faceva dei popoli orientali ne Il Milione, ed era sicuramente fantascienza l’isola anarchica di Thomas Moore in Utopia. Ludovico Ariosto racconta in modo suggestivo il viaggio di Astolfo sulla Luna per trovare il senno dell’Orlando furioso, mentre Francesco Doni parla di dischi volanti già nel 1500. In capolavori come La macchina del tempo e L’uomo invisibile di H.G. Wells, si vive l’ossessione di una penna geniale, quella della prima Rivoluzione Industriale, durante la quale le fantasie e le angosce dell’autore serpeggiano verso mondi futuri e finiscono sempre con la più cupa distruzione dell’essere umano.

In Italia la fantascienza conta tanti frequentatori inaspettati come Italo Calvino, che scrisse Le Cosmicomiche, e persino Primo Levi. Nei quindici racconti di Storie Naturali, l’autore, che ha vissuto la tragica esperienza di Auschwitz, si diverte a descrivere un futuro in cui si può costruire una macchina che riproduce esattamente un essere vivente.

Ma Levi è giustamente più noto per Se questo è un uomo, un uomo ridotto in schiavitù, ferito e cancellato, proprio come nei romanzi di Dick, dove si afferma che tutto ha avuto origine dagli stermini di massa e che l’universo non avrà mai fine perché, quando sembra che l’oscurità abbia raso al suolo ogni cosa, nuovi semi di luce emergono dall’abisso.

Molti critici sostengono che Dick si esprima male, ma può essere considerato un cattivo scrittore chi cambia le regole del gioco nelle poche pagine de Ma gli androidi sognano pecore elettriche?