Pellegrino Artusi, critico letterario e gastronomo, con “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” ci ha aperto la strada per conoscere meglio noi stessi e la nostra tradizione culinaria, nel bene e nel male. La gastronomia è una scienza a tutti gli effetti, e come ogni scienza ha i suoi punti di prestigio, gustosi e stuzzicanti, ma, ahimè, è caratterizzata anche da zone ombrose, meno gradevoli ai nostri sensi.

Si dice che l’abilità più grande in cucina, sia nel trovare i giusti accostamenti. Certamente è anche cosi. Non bisogna eccedere nelle manipolazioni, nei condimenti, nelle cotture pesanti, salutare sarebbe riscoprire il sapore degli alimenti crudi. Tuttavia, non siamo davvero informati su ciò che mangiamo.

Infatti, strabiliante è la nostra capacità umana di ignorare ciò che ci turba… Mi riferisco a tanti di noi, me compreso, che, in ambito culinario, ignoriamo qualsiasi percorso di preparazione, coltivazione, e provenienza dei tanti cibi che poniamo sulle nostre tavole.

Senza andare molto lontano: si è parlato, ultimamente, di finto olio extravergine d’oliva, contaminato, scadente, miscelato con grassi di diversa natura (chissà quale), riciclato dagli olii esausti della ristorazione.

Per far fronte al problema delle truffe e delle frodi alimentari che dilagano al nostro tempo, è nata la disciplina comunemente nota come sicurezza alimentare: per farci mangiare sicuri, senza preoccupazione.

Concetto contenitore, tale espressione si riferisce all’insieme delle misure e delle norme atte a garantire la fase di produzione, preparazione e distribuzione dell’alimento, in modo da rendere sicuro ciascuno di noi che lo consuma sulla propria tavola.

In effetti, tra i consumatori la paura è in agguato, i media quotidianamente descrivono questioni e dubbi sulla provenienza del cibo, sulle manipolazioni, sulle frodi senza tregua al fine di ottenere un ritorno economico illecito.

Tantissimi possono essere gli esempi, a partire dal novembre del 1986 in Inghilterra: ricordate quei comportamenti delle mucche, come dire, innaturali? Era il tempo dell’Encefalopatia Spongiforme Bovina, più comunemente conosciuta come “Mucca Pazza”. Quello fu un allarme che scoppiò in tutta Europa dopo la scoperta della trasmissione all’uomo. In Italia venne proibita la nostra bella bistecca Fiorentina ai ferri per ben 4 anni.

Ma vi siete mai chiesti cosa ci fosse dietro? Come fanno gli animali ad ammalarsi e impazzire?

Soffermandoci sull’esempio della mucca pazza, gli ovini erano utilizzati per produrre farine alimentari per bovini. Erano ricchi di proteine come mangimi e altri nutrienti il cui costo era davvero minimo. Ma le mucche, direte voi, non sono carnivore! Infatti… Oggi, quella malattia è quasi scomparsa. La causa di tutto fu il prione (una proteina patogena) che attaccava il sistema nervoso. Questa proteina purtroppo era anche molto resistente alle alte temperature e con la cottura non veniva eliminata.

Ma quello delle carni è uno dei pochi esempi che potremmo citare. Facciamo un altro esempio: ricordate il vino al metanolo? E l’olio di soia diventato d’oliva? Le mozzarella latte free e multicolor? Le bufale dopate nel 2009 (con l’aggiunta di ormoni pericolosi)? E, nel gennaio del 2009, i funghi cinesi? Vogliamo parlare dell’influenza aviaria del 2003?

Viviamo nel sistema capitalistico, la forza denaro fa da sovrana. “Tanto grande è la mia forza quanto grande è la forza del mio denaro” scriveva Marx nei Manoscritti filosofici ed economici del 1844.

All’epoca della mucca pazza, era necessario produrre grande quantitativo di carne ad un prezzo inferiore. In questo modo il prodotto, scadente, veniva comprato a basso prezzo, in ingenti quantità, e ciò fruttava un ottimo rientro economico. Comportamento che nel tempo ha funzionato come un boomerang, astuto sì, ma tale da scagliarsi contro tutti noi.

Tutto gira intorno al denaro, diffidate da chi non ammette a se stesso questa verità.

Eppure ci sono tante realtà che noi ignoriamo, e non conosciamo, anche vicino a noi, di commercio responsabile, solidale (mi riferisco proprio al commercio Equo e solidale). Questa tipologia di commercio degli alimenti è ancora sconosciuta purtroppo. Essa si pone in contrasto, anzi si oppone, alle pratiche di profitto che ci sono dietro la produzione, la schiavizzazione del lavoro, la distribuzione degli alimenti.

Inconsapevolmente, anche noi siamo autori di ingiustizie alimentari, quando preferiamo comprare prodotti a prezzi troppo bassi, fidandoci del grande marchio che li distribuisce.

Siamo cosi manipolati dal senso dell’estetica e dai marchi, che ignoriamo il percorso degli alimenti che stiamo gustando e ci soffermiamo unicamente sulla bella composizione del piatto.

Se solo conoscessimo!

Il problema, forse, è proprio che ci pesa un po’ essere informati, ci destabilizza nelle nostre convinzioni e sicurezze. E, in fondo in fondo, non lo vogliamo più di tanto.

Antonio Abruzzese


[ Foto: www.irpinia24.it ]