A parte l’assioma Scamarcio (via un democristiano, dentro un socialista), il Cambiamento strombazzato dov’è?

Caro Direttore,
da qualche mese una parola magica si aggira per l’Italia: Cambiamento, con la maiuscola. Ora, cambiamento, anche senza maiuscola, è una parola concettualmente palindroma, nel senso che vuol dire tutto e il contrario di tutto. Il cambiamento può essere in meglio o in peggio, senza perdere la sua radice significante.

I Nuovissimi della politica usano il termine cambiamento come i Vecchissimi della Prima Repubblica usavano il termine Alternanza. Una volta il compianto Gaetano Scamarcio, intelligente e discusso uomo di governo, mi spiegò l’alternanza in poche parole: “Dove c’è un democristiano deve andare un socialista”. Era il cambiamento. Oggi dove c’è un uomo o una donna di Renzi (metti la Rai) deve andare un uomo di Salvini, che ha consentito al suo socio Di Maio di scegliersi i vertici della Cassa depositi e prestiti e delle Ferrovie.

Ora, mi faccio una domanda. Sicuro che il Foa designato e bocciato alla presidenza della Rai sia più capace della defenestrata Monica Maggioni, che in Rai ci sta da qualche lustro? Sicuro che il suo titolo professionale migliore non sia in suo sodalizio putinian-fascista così caro a Salvini, che ha a libro-paga anche il figlio di Foa? Oppure essere renziani è un orribile difetto ed essere salviniani è un master di bravura? Nonostante questi dubbi, che ogni mente onesta rischia di avere, questo è un pezzo di Cambiamento che Di Maio sposa appieno, perché sul Potere con la maiuscola, finalmente raggiunto, Giggino non si consente dubbi.

Poi, sempre in fatto di Cambiamento, la lista dei miracoli cozza contro la realtà. Il M5S ci ha alessato i “cosiddetti” per due anni almeno. Basta jobs act, immorale legge da cambiare, insieme al ripristino dell’articolo 18, alla cancellazione della Fornero, al reddito di cittadinanza, alla flax-tax e mille altre bellurie. La Camera che sta licenziando il cosiddetto decreto Dignità, oltre ad aver peggiorato le condizioni dei precari colpendo le aziende, lascia intatto il jobs act e non ripristina l’articolo 18.

Cioè, il cambiamento è in peggio, e lo vedremo presto. Le chiacchiere stanno a zero, lo spread sale e gli investitori esteri se la filano. Un miracolo che manco San Gennaro alla rovescia…

Ecco, a parte l’assioma Scamarcio (via un democristiano, dentro un socialista), il Cambiamento strombazzato dov’è?


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).

1 COMMENTO

  1. Si è vero. Cambiamento è una parola “reversibile”, dal doppio significato. Ma mi chiedo dove sia finita la “pazienza” degli italiani (permettetemi l’ironia) se, addirittura per due Repubbliche, tale parola “abusata” dai politicanti di turno restava nel novero più delle cose non fatte che di quelle dette. Eppure le nostre due “Repubbliche” di stampo “cattocomunisocialdem” son durate decenni. Ora gli “opposti” per default vorrebbero un cambiamento in due mesi (tempo che non basta nemmeno per trovare le carte di tutti gli inciuci di palazzo) quando si sa che i frutti reali di un vero cambiamento soprattutto economico viaggia con ritmi “keynesiani” diversi. Tempo ci vuole (e sicuramente ce ne vorrà meno, non due Repubbliche) o l’ansia e l’attesa provata assumeranno i contorni di quell’isteria che si conforma più alle “massaie” insoddisfatte della loro ciambella.

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