Lo scorso venerdì 27 febbraio, Boris Nemtsov, famoso politico russo di opposizione, è stato assassinato per le strade di Mosca. Celebre per la sua critica nei confronti dell’ingerenza del Cremlino nella guerra in Ucraina è stato freddato con quattro proiettili nel petto. Un omicidio politico premeditato, di cui non si conoscono ancora i colpevoli, ma che richiama troppe analogie con il passato.

La Russia di Putin è un Paese in cui il dissenso viene spesso pagato con la vita (le vicende Politkovksaja, Litvinenko e Berezovskij insegnano). Sergej Aleksashenko su Echo Moskvy ha scritto che Nemtsov è stato ucciso perché contrario al sistema politico verticale e clientelare creato da Putin, “un sistema che non è in grado di discutere con i nemici, ma solo di eliminarli”. Alexander Baunov, del Carnegie Centre di Mosca, dice che l’omicidio rappresenta un ulteriore segnale di degrado dell’autoritarismo russo. La morte di Nemtsov segna in ogni caso l’ennesimo attacco verso le forze liberali nel Paese. Il delitto è stato infatti consumato due giorni prima della manifestazione “Весна” (Primavera), organizzata per dire no alla crisi economica e all’ingerenza di Mosca nella guerra in Ucraina.

Negli ultimi tempi l’aria nel Paese si è fatta molto pesante. I media sono quasi tutti schierati con il Governo e difendono un’ideologia patriottica che sta facendo emergere un clima di isteria collettiva non dissimile da quella presente ai tempi della “guerra fredda”. La strategia è semplice. Bisogna creare un nemico interno (l’opposizione) ed esterno (l’Ucraina e l’Occidente) per mascherare i veri (e profondi) problemi del Paese. Criticare il regime significa far parte di una “quinta colonna” che vuole solo distruggere lo Stato e i suoi valori. Nemtsov rientrava da tempo in una sorta “lista di proscrizione” invisibile. Non è un caso che durante la manifestazione del movimento “Anti-Majdan” in molti avessero dei cartelloni con il suo viso e con sotto scritto “Chi c’è dietro Majdan”. Intanto il livello di popolarità di Putin ha registrato un livello record dell’85 per cento. Ma cosa si nasconde dietro questi numeri? Quanta paura c’è in coloro che si dicono a favore del regime?

Molti analisti affermano che la morte di Nemtsov non farà che indebolire le forze di opposizione russe. Forse questa lettura è esatta ma la grande partecipazione alla marcia funebre e le lunghe code per accedere alla camera ardente del  politico russo hanno lanciato un segnale importante al governo. Era dalle manifestazioni anti-governative del 2011 e del 2012 che non si vedevano cinquantamila persone sfilare per le strade di Mosca. È stata una marcia silenziosa, ma in quel silenzio si può cogliere un forte grido di ribellione verso un Paese che rischia di sprofondare in una tremenda spirale autoritaria. “Quei proiettili hanno colpito tutti noi” recitava uno striscione dei manifestanti, mentre altri dicevano “Я не боюсь” (Io non ho paura).

Per il momento il Cremlino non ha nulla da temere. L’opposizione è troppo debole e la popolazione sostiene ancora la politica governativa. Ma fino a quando l’ideologia patriottica e nazionalista potrà mantenere piena la pancia dei Russi? Fino a quando le elite di Governo si ostineranno a chiudere ogni possibilità di un confronto politico sano sulle vere problematiche del Paese? La Russia di oggi si poggia su un equilibrio economico-sociale molto precario. Nonostante la propaganda del Cremlino, il crollo del prezzo del greggio e le sanzioni hanno fatto sprofondare il Paese in una profonda recessione. Il PIL del 2015 è previsto in caduta libera (- 3 per cento), gli stipendi si stanno contraendo anche a causa dell’elevata inflazione, ma intanto le spese militari aumentano (dati SIPRI) sempre di più.

Nemtsov era pericoloso perché desiderava una cosa fin troppo semplice. Voleva che la Russia tornasse ad essere un Paese “normale”, in cui tutti possono manifestare il proprio dissenso senza essere uccisi per strada e in cui sia possibile coniugare la difesa della propria identità nazionale con i valori di democrazia e libertà. Purtroppo non è riuscito nel suo intento, ma la sua morte deve servire da esempio per tutti. Sarà sempre più difficile opporsi all’attacco della propaganda del regime. Ma la storia ci insegna che nessun autoritarismo – neanche quello mascherato da democrazia – è eterno.

È solo questione di tempo. I russi hanno dimostrato che non hanno paura.

 


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Daniele Fattibene è un giovane ricercatore della…conoscenza! Mezzosangue apulo-lombardo, napoletano di adozione ed Europeista convinto (e un pò disilluso) è laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a Napoli (L'Orientale) prima e Forlì (Alma Mater Studiorum) poi. Si occupa di questioni di sicurezza europea con un interesse particolare verso i Paesi dell’Europa dell’Est. È come tutti noi un Ulisse 2.0, un cittadino del mondo amante delle lingue straniere, del viaggio, dell’ignoto e delle verità “scomode”. Collabora con diverse riviste e magazine online tra cui "AffarInternazionali", "EastJournal", "Social Europe" e "Reset". Lavora presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma. Twitter @danifatti