È passato un mese dalla tragedia del bus di Volnovakha, in Ucraina dell’Est. Da allora, il conflitto tra le forze di Kiev e i separatisti delle regioni di Donetsk e Lugansk è peggiorato sempre di più. Il Paese è sprofondato in una tremenda guerra civile che ha mietuto già più di 5 mila morti (stime ONU/OSCE).
Non è semplice capire cosa succeda in quei territori. L’informazione da ambo le parti è molto faziosa e ideologica. Kiev attacca Mosca per aver leso la sua sovranità territoriale fornendo supporto alle milizie separatiste. Il Cremlino accusa il “governo fascista” di Kiev di “genocidio” nei confronti delle popolazioni russofone dell’Est (le autorità russe parlano di più di un milione di rifugiati). Retorica a parte, col passare del tempo è apparso sempre più chiaro come alla base del conflitto ci fosse uno scontro geopolitico di portata maggiore (tra USA-UE e Russia) e che le vittime civili fossero il “prezzo necessario” da pagare. La cosa più grave è che il confronto si è trasformato in una sorta di “guerra di civiltà” tra due modelli – quello occidentale e quello russo – apparentemente inconciliabili.
Dopo trattative estenuanti il “Quartetto della Normandia” (formato da Francia , Germania, Russia e Ucraina a cui si sono aggiunti i leader delle Repubbliche separatiste e il rappresentate dell’OSCE, Heidi Tagliavini) ha raggiunto un’intesa di 12 punti sul “cessate il fuoco” a partire dal 15 Febbraio. Si spera che questa volta la tregua sia davvero duratura e consenta di trovare una soluzione efficace e pacifica al problema dell’assetto territoriale del Paese. L’importante è evitare che l’Ucraina Orientale si trasformi in un nuovo frozen conflict (come la tristemente celebre Transnistria). C’è ancora molta strada da fare, ma a Minsk è stato lanciato un segnale di speranza.
Quello che conta al momento è che si ponga fine a questa guerra fratricida che mina sempre di più la possibilità di una riconciliazione nazionale. L’Ucraina deve tornare ad essere uno Stato libero dalla guerra e dalle ingerenze geopolitiche esterne. Un Paese neutrale, che usi gli aiuti finanziari per riformarsi veramente e lanciare una dura lotta contro élite corrotte e oligarchi senza scrupoli che ne hanno impedito uno sviluppo egualitario nel corso degli ultimi decenni. Un’Ucraina libera, sovrana e democratica può trasformarsi in un ponte tra Russia e UE, in cui sperimentare nuove forme di convivenza e rispetto reciproco. Ciò consentirebbe di rivitalizzare le forze progressiste russe – al momento soffocate dall’ideologia patriottica pro-Putin – e aiuterebbe noi europei ad abbandonare quell’istinto moralizzatore che spesso manifestiamo nei confronti dell’“altro”.
Forse sembra un’utopia ora, ma l’Ucraina può diventare il fulcro per realizzare finalmente quella “casa comune europea” da Lisbona a Vladivostok. Sarà un processo lungo e maledettamente difficile, ma abbiamo l’obbligo di provarci. Se non ora, quando?