
«Eichmann non era uno Iago né un Macbeth, e nulla sarebbe stato più lontano dalla sua mentalità che “fare il cattivo” – come Riccardo III – per fredda determinazione. Eccezion fatta per la sua eccezionale diligenza nel pensare alla propria carriera, egli non aveva motivi per essere crudele […] Per dirla in parole povere, egli non capì mai che cosa stava facendo. […] Non era uno stupido; era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo».
Eichmann è il nazista Otto Adolf Eichmann, che fu condotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme per rispondere di crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi sotto il regime nazista.
Hannah Arendt, filosofa tedesca, allieva di Heidegger e Jaspers, costretta ad emigrare dalla Germania in Francia nel 1933 a causa delle persecuzioni contro gli ebrei, è l’inviata del giornale “The New Yorker” per conto del quale assiste al processo Eichmann.
Il saggio contenuto in queste pagine ha origine dal resoconto della Arendt per il giornale. L’uomo che ha di fronte, esecutore del diabolico piano di sterminio razziale ai danni degli ebrei, le appare sorprendentemente “banale”, come il male che rappresenta.
Ed il guaio è – dice – che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi nè sadici, bensì erano terribilmente normali!
Un libro edito per la prima volta nel 1963, da recuperare tra gli scaffali. Per chi vuole darsi tempo per pensare, senza liquidare subito la “questione” nella divisione netta tra bene e male, con i buoni da un lato ed i cattivi dall’altro, con un sommario, risolutivo e liberante processo.