Come se non bastasse l’ossessiva e costante presenza di Salvini in qualsiasi trasmissione televisiva, con tour de force che lo portano in rapida successione da Agorà a In onda, includendo anche Mezzogiorno Italiano, Pomeriggio 5 e Cuochi e Fiamme, ci si mette anche il web. Attivissimo sui social network, con post tra il “serio” e il faceto, si aggiungano anche le pagine “Gattini su Salvini”, “Matteo il Buono”, “Leggere i post di Salvini per sentirsi una persona migliore”. Tra chi ironizza e chi lo prende sul serio, Salvini è il vero tormentone quattro stagioni: non possiamo sperare di vederlo sparire come accadrà al “mismo sol”, più che tormentone, tortura acustica dell’estate 2015, martellante tanto quanto un Salvini onnipresente.

La sessione estiva di quest’anno, in gradevole combinazione con il clima tropicale della mia stanza, è stata accompagnata da un’irrefrenabile voglia di Brasile, di spiagge, di costumi e di samba (questi sono solo alcuni degli effetti collaterali dello studio della Boschi-Renzi, pensate cosa sarà in grado di fare quando entrerà in vigore). Quindi, partendo da Jobim, mi sono ritrovata ad ascoltare artisti che spaziavano dal Brasile a Cuba, dal Belgio al Marocco. E mi sono detta che in fondo, la musica era la migliore resistenza al razzismo.

E sì, perché quando una canzone è così bella da farti venir voglia di ballare o di cantare pur non conoscendo una sola parola, inizi a voler bene a chi quella canzone l’ha creata e quindi a tutto il portato della cultura che l’ha generata. Ma soprattutto, inizi a pensare che se questi sporchi immigrati non ci fossero e se non ci fosse interazione tra le culture, nemmeno Beethoven sarebbe stato dei nostri.

Quindi, Siori e Siore, ecco a voi una selezione di dieci canzoni così contaminate da far venir voglia di mettersi sulle coste e abbracciare tutti quelli che arrivano. E resistere all’idiozia razzista di Salvini.

1. STROMAE- AVE CESARIA

Un inno d’amore di un ragazzo mezzo belga, mezzo ruandese, ad una cantante capoverdiana. Un ponte di nazionalità, una sintesi di commistioni culturali. Ma non solo, un ponte tra generi diversissimi: da una parte il pop elettronico di Stromae, dall’altra la malinconia della morna di Cesaria Evora. Ho scelto questa canzone come prima perché sintetizza alla perfezione il mio intento: l’immediatezza del pop di Stromae spinge inesorabilmente a scoprire Evora. E ne vale la pena.

2. LHASA DE SELA- LA CELESTINA

https://www.youtube.com/watch?v=yaXatiT1fus

Se Desdemona non avesse amato Otello non avremmo avuto il risotto allo zafferano, dice Don Pasta (il cuoco filosofo). E se un messicano non si fosse innamorato di un’americana, non avremmo mai avuto Lhasa De Sela, cantante dalla cittadinanza americana, ma nata a cavallo tra il Messico e gli Stati Uniti, per poi innamorarsi del Canada e della Francia. Scegliere la canzone adatta e rappresentativa di Lhasa de Sela non è stata un’impresa facile, basta un rapido tour tra le sue canzoni per rendersi conto che si passa dall’inglese al francese allo spagnolo nello stesso album. E che nelle sue canzoni c’è contemporaneamente il Nord America, il Sud America e l’Europa.

3. BEPPE BARRA, MAX GASELLA E M’BARKA BEN TALEB- TAMMURRIATA NERA

C’è stato un tempo in cui l’America ci è piombata in casa, non sempre seminando dietro di sé storie d’amore. Ma dei figli sì. Un esempio famoso è il sassofonista James Senese, inconfondibilmente nero, nato e cresciuto a Napoli, chiamato dalle signore del quartiere “Jamesiell”. In questa versione della Tammurriata Nera, l’America si ritrova con la Tunisia in Italia. Una versione spettacolare, che può essere apprezzata in tutta la sua magnificenza nel film “Passione” di John Turturro (altro figlio di un’incontro tra mondi), un film documentario così amorevole nei confronti della tradizione napoletana, che forse per capire la bellezza di una cultura così colorata ci vuole il distacco della distanza.
4. GOGOL BORDELLO- IMMIGRANIADA

Evgenji Aleksandrovic Nikolaev, noto sinteticamente come Eugene Hutz, è il cantante dei Gogol Bordello. Lo riconoscete dai gran baffoni e dalla figura altissima e dinoccolata. Probabilmente l’avete incontrato qua e là per il mondo perché è davvero uno che ha patria ovunque e da nessuna parte, nato in Ucraina da genitori di origini russe, ucraine e rom (ussignùr, uno zingaro!). Dopo il disastro di Cernobyl, è fuggito con la famiglia attraversando Polonia, Ungheria, Austria e Italia. Nel nostro Paese ha vissuto nel campo profughi di Santa Marinella (e doveva vivere talmente bene, che ha dedicato una canzone alla città piena di parolacce e bestemmie). Dopo anni di peregrinazioni è approdato negli Stati Uniti, ma ha continuato a vivere da nomade con i Gogol Bordello in giro per il mondo. E quando li si ascolta, ringrazi il cosmo dell’esistenza di gente così in grado di assorbire le altre culture.

5. AL DARAWISH- RADIODERVISH

C’è un’immagine della guerra in Siria che mi ha sconvolta. Tre guerriglieri corrono nella campagna siriana tra gli ulivi e si nascondono dentro una vecchia costruzione bianca che ricorda in maniera impressionante un trullo. E lì mi sono accorta che il Mediterraneo non appartiene agli italiani e non è un mare che divide, ma che ci lega indissolubilmente. I tamburelli di Radiodervish ricordano quelli salentini, la chitarra suona come un Oud. Così Nabil Salameh, cantante degli Al Darawish (oggi Radiodervish) canta in italiano senza abbandonare quell’intonazione tipicamente araba. Barese di adozione, libanese per caso, palestinese di nascita, Nabil discende direttamente dalla tribù dei Quraysh, la stessa di Maometto. Ma non fa paura e non taglia teste, anzi, attraverso la sua professione di giornalista si batte da anni a favore della corretta informazione che è l’unica forma per salvarsi dagli estremismi. Perché solo quando ci accorgiamo che l’altro non è “altro” da noi, ma siamo noi stessi che smettiamo di farci male.

6. ALMAMEGRETTA- FIGLI DI ANNIBALE

Più che una canzone, è un vero manifesto sociale. Gli Almamegretta hanno sempre portato un po’ di Jamaica, tanta Africa e qualche nota di Medioriente nella musica italiana. O, più semplicemente, le hanno esaltate, visto che sono sempre state nella nostra italica cultura. E così Raiz ricorda quando quel negro di Annibale attraversò le Alpi con degli elefanti, in un’epoca in cui era già una grazia divina se non si moriva nel tragitto da casa ai campi. Ecco perché noi meridionali abbiamo una pellaccia dura. Per non parlare di quanto sangue arabo ci scorre, ricordando che, qualche secolo dopo, il nostro Federico II impiantò una colonia araba in Puglia. Quindi questa battaglia salviniana contro gli arabi, gli africani e i negracci non è un abbandono del tema tipicamente leghista del razzismo contro i meridionali, ma è un ennesimo rafforzamento. Con buona pace di chi al Sud ha votato Salvini e magari si è fatto eleggerre tra le sue liste.

7. BUENA VISTA SOCIAL CLUB- MANDINGA

Tutti almeno una volta nella vita devono fare un’esperienza mistica nell’isola caraibica per eccellenza: Cuba. Per farlo, per fortuna, esiste un metodo infallibile: i Buena Vista Social Club. Il nome ricorda quello di un club dell’Avana che, durante la dittatura di Fulgencio Batista, era riservato esclusivamente ai neri. Verrà chiuso nel 1962, per contrastare le ghettizzazioni sociali tra le differenti etnie dell’isola (ma anche perché la musica popolare non veniva ritenuta consona al socialismo reale). Nel ’96 nasce questo gruppo cubano formato da quindici musicisti del luogo, tra cui alcuni provenienti da un altro meraviglioso gruppo cubano, Compay Segundo. Anche in questo caso, la cultura popolare contaminata è stato il vettore essenziale per creare un’opera che parla di Cuba senza parlare. Ma facendo solo venire una gran voglia di ballare.

8. SELTON- EU NASCI NO MEIO DE UM MONTE DE GENTE

Ammetto la mia mortale ignoranza: non mi sono mai appassionata a Jannacci. Ma un giorno, nei miei casuali ascolti, mi sono ritrovata ad ascoltare questi quattro brasiliani che cantavano in portoghese Jannacci, Cochi e Renato. E mi sono accorta di quanto Brasile ci sia anche a Milano. Evidentemente Matteo non se n’è accorto. Ad ogni modo, grazie ai Selton mi sono ritrovata ad innamorarmi di Jannacci, delle sue storie, dei suoi personaggi marginali che all’improvviso diventano eroi. Insomma, ci voleva che quattro immigrati brasiliani trapiantati a Milano cantassero in portoghese le canzoni di un cantautore milanese perché io mi rendessi conto che essere italiana non fa di me una portatrice sana di tutto ciò che è italiano.
Anche perché, come dicono i Selton, “siamo come farina in un sacco bucato”, cadiamo un po’ dove capita in giro per il mondo.

9. CRIOLO- SAMBA SAMBEI

https://www.youtube.com/watch?v=hDkwkDKBzb4

Criolo è la mia epifania estiva. A Roma c’è un festival di musica in cui artisti di tutto il mondo si ritrovano alternandosi di sera in sera sullo stesso palco. Così, all’improvviso, una sera mi sono ritrovata la bacheca di facebook invasa di canzoni di questo musicista che definire non saprei. Dal reggae al rap, dalla samba al tango, dal soul all’afrobeat. Un Tutto letale e bellissimo. Figlio di migranti dell’est del Brasile, è cresciuto in una delle favelas di San Paolo. Ed è stato salvato dalla musica. Che è un vero atto di resistenza all’emarginazione.

10. DEPRODUCERS- TRAVELLING

Salvini ha una profonda passione per il cosiddetto “benaltrismo”: il problema non è mai la cattiva integrazione, una legge sulla cittadinanza vecchia, una crescente disparità sociale che condanna ad libitum chi vive in condizioni di disagio, a perpetuare il disagio. Il problema è sempre un altro, cioè l’immigrazione clandestina, cioè gli stranieri a cui vengono assegnate le case prima che agli italiani (non sarà mica perché vivono in condizioni peggiori?). E il problema non è nemmeno che i Casamonica siano un clan mafioso, il problema è che sono zingari (anche se la mafia è un prodotto italiano DOP). Ma Salvini dimentica una cosa essenziale, che invece ci ricordano i Deproducers: siamo uno scorreggino nel cosmo. Possiamo sempre parlare di ben altro, ma resta il fatto che siamo tutti parte di un tutto, come una cellula. E come le cellule, sopravviviamo solo grazie all’interazione tra le parti.
Non esiste la cultura in purezza, la nazionalità 100% italiana: siamo sempre figli di un’altra cultura, di un’altra nazionalità.
Siamo italiani proprio perché conteniamo al nostro interno tutte le culture, le nazionalità, le storie che sono approdate su queste coste.