L’Ilva va ripulita, nel rispetto dell’ambiente possibile. Non si può rinunciare a un pezzo così pesante dell’economia italiana, sarebbe un suicidio. Non può esserci alternativa possibile fra il futuro del Paese e quello di Di Maio…
Caro Direttore,
Il prode Giggino Di Maio, ministro del lavoro degli altri, non riesce a decidere se l’Ilva di Taranto deve restare l’acciaieria più grande di Europa o diventare un campo di carciofi. Cioè se i 15mila dipendenti debbano portare a casa uno stipendio decente o un bel mazzo di verdure e fiori (il carciofo è un fiore, come si sa). Dice, il nostro eroe, che la gara vinta dal colosso multinazionale Arcelormittal, sarebbe illegittima ma che lui non può annullarla. Perché sarebbe illegittima e perché lui non può annullarla, non lo dice. Parla di testi secretati, parla di acqua fritta, prende tempo. Gli operai aspettano, sperando che i compratori non si rompano i cosiddetti, se ne vadano e chiedano qualche miliardo di danni. Allora i carciofi saranno obbligatori.
La possibile verità è che, nel sogno di una decrescita felice (una vera stupidaggine), il grillismo aveva promesso di chiudere lo stabilimento, in omaggio all’ambiente, ai campi di cicoria e di carciofi, appunto. Essendo ardua impresa spiegarlo ai 30mila cittadini che di Ilva campano, il ministro ha provato prima a scaricare la patata bollente all’Anticorruzione, poi all’Avvocatura dello Stato, poi ai Sindacati, poi… Insomma la solita ricerca del capro espiatorio che consentisse al grillino capo di non assumersi la responsabilità di decidere. Gara illegittima? Bene, si annulla e si rifà. E se mancasse un altro compratore? Si può chiudere, in coerenza con la campagna elettorale. E se poi quei 30mila arrivassero sotto il ministero con i forconi, in nome del popolo? Ecco il vero problema. Il birraio del San Paolo non sa come uscirne e prende altro tempo. Dopo il no-Gronda grillino, il no-Ilva ha un suono particolarmente sinistro per il governo, l’azienda dell’acciaio riguarda anche Genova.
L’idea della decrescita si rivelerà un disastro, se continuerà ad avere spazio. In un mondo che cambia continuamente, pensare di fermarsi a coltivare basilico e giardini pubblici non è un ritorno alla civiltà contadina, è un ritorno alle caverne. Un Paese fermo da tempo in fatto di opere pubbliche, se decresce crolla, perché è vecchio, usurato, pensato e costruito con tecniche e materiali sorpassati. Non è soltanto un mezzo per creare lavoro, è una necessità per non cadere a pezzi.
In questo quadro si inserisce l’Ilva che va ripulita, nel rispetto dell’ambiente possibile. Non si può rinunciare a un pezzo così pesante dell’economia italiana, sarebbe un suicidio. Non può esserci alternativa possibile fra il futuro del Paese e quello di Di Maio, questa specie di caricatura di don Chisciotte. Il lavoro di questo Paese lasciato in mano a un incompetente è una minaccia per la stabilità. Non sarà un caso se lo spread continua a salire, se in tre mesi sono emigrati quasi 80 miliardi di euro, se gli investitori esteri cominciano a darsela a gambe. Il resto del Governo continua a promettere questo e quello. Il premier Conte cammina sulle uova per non perdere il posto, o perché non ci capisce nulla. Il Capitano Salvini è impegnato nella guerra ai negri, in nome del popolo.
Lode a Mattarella che, con discrezione, fa quello che può. Dall’opposizione il Pd è frastornato e batte colpi deboli. Speriamo che si dia una sveglia. Perché il tempo gioca a favore dei fascisti, almeno per ora.
***
Articolo correlato: La Lega ruba e i 5 stelle muti
È diventato assurdo e ridicolo leggere la sua fissazione sui fascisti e sul fascismo. Dovrebbe tornare a scuola oggi, per imparare a saper leggere l’attualità. Non è più come “una volta”, il tempo è cambiato e la sua lettura sul mondo è morta. Meno male.
Caro Nunzio,
permettermi di ricordati delle parole che conosci già: “Non c’è nulla di più prossimo alla vera intelligenza, dell’umiltà” (Simone Weil)