MATTEO SALVINI

“Io non mi scandalizzo quando gli uomini sbagliano o fanno i furbi. Mi scandalizzo del contesto che, nel caso presente, è davvero avvilente. La Lega è giudicata colpevole e i loro soci 5 Stelle che negli anni hanno aggredito chiunque incappasse in un avviso di garanzia, hanno espulso parlamentari e consiglieri comunali sfiorati dal sospetto – non da una sentenza – adesso non hanno più nulla da dire”

Caro Direttore,
mi chiedi che cosa penso del caso Lega e dei 49 milioni scomparsi che la Cassazione ha deciso di cercare in ogni dove, bloccando i beni del partito del Ras Matteo Salvini. Prima di rispondere faccio una premessa. Penso che tangentopoli sia stata una sciagura per questo Paese, non per i ladri, che continuano a fare il loro mestiere, ma per la politica che dall’assalto giudiziario uscì con le ossa sfarinate, e per l’Italia che si è arresa al populismo arrogante, incompetente e pericoloso che ci governa oggi. Gutta cavat lapidem…
Torno alla Lega che, ultimo partito del vecchio sistema, incappa nelle maglie della giustizia, che essa stessa aveva evocato al grido di “Roma ladrona, la Lega non perdona”. Adesso la tanto invocata giustizia (per gli altri) arriva come un maglio sulle fortune del Terrore dei negri, che si smarca dal partito di Bossi e grida alla “sentenza politica” e chiede addirittura aiuto a Mattarella per salvare la democrazia, prima di affacciarsi al Balcone per un appello agli italiani. Una carnevalata a dorso nudo che cerca di sfuggire alla questione vera. Dove sono finiti 49 milioni di euro di finanziamento pubblico alla Lega? Domanda semplice.
Io non mi scandalizzo quando gli uomini sbagliano o fanno i furbi. Mi scandalizzo del contesto che, nel caso presente, è davvero avvilente. I giustizieri padani si spacciano per nuovi, ma da trent’anni si sono omologati al grasso andazzo romano, da loro disprezzato e combattuto a parole. Ma la circostanza più straniante è che adesso sono al governo con i soci napoletani dell’Onesta’, i quali non spiccicano parola, non hanno niente da dire. Hanno aggredito chiunque incappasse in un avviso di garanzia, hanno espulso parlamentari e consiglieri comunali sfiorati dal sospetto, non da una sentenza. E adesso il Contuctador dell’agro campano non ha nulla da dire. Giggino Di Maio tace. Vice-premier non morde vice-premier, come i cani. E Grillo, l’inventore del grillismo, quello del Vaffa a pranzo e a cena?
Silenzio conveniente, per non buttare all’aria un governo che, più che un governo, è una lotteria che è finalmente arrivata all’incasso. Tutti aggrappati al biglietto vincente, casomai uno fuggisse con la cassa. E l’avvocato degli italiani che ha da dire su una ordinanza così dura della Cassazione? A parte la circostanza che la lotteria vale anche per lui, forse il premier Conte non ha ancora capito in quale guaio si è cacciato, adescato dal suo amico Bonafede, oggi ministro della Giustizia, muto anche lui come un pesce. Dove sono finiti i minacciosi raduni degli onesti?
È questo il Governo del Cambiamento?

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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).

5 COMMENTI

  1. Bravo Direttore. Sono le domande, o finte domande, che ci poniamo tutti, o quasi tutti. In realtà questo governo dei soliti ignoti per restare dov’è può solo raddoppiare ogni volta la posta (la martingala è un sistema del gioco d’azzardo alla roulette), sperando di cavarsela sul credito presunto, oppure morendo sepolto dai debiti… Ai posteri ecc.

  2. Paghiamo sempre le ns scelte, le abbiamo sempre pagate.
    Lei ovviamente non si pone affatto il problema della strumentalizzazione della giustizia da parte della politica. Certo, capisco, lei è “amico” di quei giudici di cui io provo vergogna di essere loro concittadino.
    Io e lei, cittadini italiani, ma culturalmente e socialmente agli antipodi. Mi auguro che il suo sogno di un Italia migliore non trovi mai realizzazione, perché sarebbe nella realtà dei fatti, una rovina.
    Che la sua cultura cada nell’oblio.
    P.S.: non sono leghista. Sia chiaro.

  3. Gentile Labranca, se lei conoscesse la mia storia umana e professionale si eviterebbe di scrivere scemenze del genere. Il grillismo grido onestà-onestà è ormai un’eco che si perde nell’etere, loro apritori di scatole di tonno e, loro si, amici dei giudici, non io. Hanno ammainato bandiera per fare un patto di potere con i razzisti di Salvini, leader di quella lega che dell’onestà se ne fotte. Ma lei guarda le cose con una spessa fetta di prosciutto sugli occhi. Per questo siamo due italiani agli antipodi. Meno male e grazie a Dio.

    • Presuppone che lei abbia una storia umana e professionale autorevole, mentre magari io sia un hater da tastiera. Non è così (non mi trova in nessun social tanto per fare un esempio). Grazie a Dio, spero che un giorno potremmo inconcontrarci e tra chiarimenti e contrasti certi, appurerà che anche io ho una vita “importante”.

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