Renzi ha annunciato pubblicamente qual è la posizione e la proposta dell’Italia in questa nuova tipologia di conflitto tra Oriente e Occidente: Renzi dice che per vincere il terrorismo ci vuole più cultura.

Molti, anzi molti tra i pochi che conservano una vaga memoria di cosa sia la cultura, saranno saltati dal divano o dal tavolo da pranzo all’udire queste parole. “La storia si ripete”, si sarà pensato. Sono passati tanti anni eppure non si è ancora capito, o si fa finta di non capire, nulla è rimasto delle esperienze passate, la memoria è labile. È labile certo la memoria perché l’acculturatissima e civilissima Germania, la più acculturata di tutta Europa e quindi di tutto il mondo del XIX e del XX sec., non ha impedito, non ha respinto, non ha condannato, non ha evitato l’insorgere dell’antisemitismo e della successiva Shoah in cui morirono milioni di persone.

Milioni, cifre a sei zeri, fatte di vite e storie umane interrotte. Molto spesso ci si è chiesti dove fosse Dio in quei frangenti. Forse sarebbe meglio chiedersi: “Dov’era l’uomo, e tutta la sua umanità, in quei frangenti? Dov’è l’uomo oggi?”

Tornando alle parole del premier, si può fare subito una duplice riflessione. Egli dice che ci vuole più cultura, quindi vuol dire che siamo nell’ignoranza? Prima e banale riflessione. Seconda riflessione, molto più interessante della prima e che consegue dalla precedente: chi è nell’ignoranza e quindi ha bisogno di cultura? I terroristi che ignorano l’importanza e la sacralità di ogni vita umana? Oppure noi occidentali che per i nostri interessi non smettiamo di sfruttare i Paesi più poveri e di violentarne le diverse culture, lanciando bombe in tutto il pianeta come caramelle per i bambini, affamandoli e lasciandoli nella disperazione?

Dopo gli attentati di Parigi avvenuti all’inizio e alla fine di questo 2015 non si può far finta di ignorare un altro aspetto patetico della nostra società di senza Dio. Molti scrivono e pubblicano, infatti, una scritta “Je suis” con poi affianco il nome di città, persone, bandiere, etc. che non si smette di notare sono tutte occidentali. Ogni vita umana spenta e a maggior ragione interrotta su questa terra provoca un abisso di dolore nelle persone care delle vittime. Questo è vero in Occidente come in Oriente, nel Nord come nel Sud del mondo, nei ricchi come nei poveri. Si può spiegare allora perché solo quando viene colpito l’occidente si instaura questa solidarietà e si ha la forza di condannare il crimine omicida e non si ha altrettanta umiltà, contrizione, dolore, dispiacere per le migliaia di vite che sono state interrotte, e lo vengono ancora, dalle nostre bombe e dalle nostre scelte politiche? Non si sente dire a nessuno “Je suis” Libia, Siria, Afghanistan, Iraq, Africa, etc.

Forse la vita dei non occidentali vale di meno. O forse ancora inconsciamente crediamo che la vita dell’uomo sia preziosa solo se è bianco e occidentale?

Per costruire la pace ci vuole giustizia e vera fratellanza fra i diversi popoli. Schierarsi dalla parte dei più forti o dei più deboli può solo portare ad un equilibrio precario di ingiustizia. Anche rendendo i deboli più forti si avrebbe solo l’inversione del problema. I perseguitati diventerebbero i perseguitori e viceversa. Che Guevara era per distruggere i ricchi, gli Stati europei volevano annientare la Germania dopo il primo dopoguerra, scelta che è stata l’incubatrice immediata della seconda guerra mondiale, e così via. Quale giustizia è mai questa se non un’ingiustizia rovesciata?

Per la pace ci vuole intercessione, stare in mezzo ai conflitti, essere per il bene di entrambi le parti, custodendo il più debole e rischiando di essere ucciso e travolto dal più forte.

In una società di senza Dio, per lo più fatta da cristiani, dominata dal Vangelo secondo Nietzsche, chi sarebbe mai disposto a donare la propria vita per amore, ed essere disposto a rinunciare alla ribalta del potere del più debole e all’odio per il proprio nemico, per una vita invece giusta, equilibrata, libera e in fratellanza fra i popoli?

Secondo le tradizioni antiche giudaico-cristiane non ci può essere pace sulla terra se non c’è pace per la città santa, per Gerusalemme, perché è da essa che arriverà la pace per tutti i popoli. Forse dovremmo tornare a pregare, a lavorare, a edificare, a chiedere pace per questa città e per le sue mura. Che sia la pace, dunque!

Certo, si apprezza il tentativo del nostro Premier di mettere alla ribalta una questione molto importante per la vita dell’uomo, e cioè la cultura, cosa che in passato anzi era stata totalmente denigrata. Si rimane tuttavia perplessi se, come mostrato sopra, la cultura ha mostrato già in passato tutta la sua inefficacia nel prevenire guerre, ingiustizie, genocidi, etc. tanto più nel risolverle. Ciò vale a maggior ragione per il terrorismo di oggi con tutti i dubbi e le domande sopra espresse che permangono: ignoranza di chi? Per chi dunque la cultura? E infine quale tipo di cultura? Quella dimostrata in questi secoli e ancora oggi dagli occidentali? Non sembra che aiuterebbe molto.

Non si può non notare, dunque, come questo richiamo della cultura non smetta di rievocare gli echi degli scritti di Gramsci e quindi di attirare a proprio favore l’attenzione e il consenso di una ideologia di sinistra ormai spenta e di sicuro lontana dall’elettorato del Premier. Anche qui, dunque, problemi duri e profondi di ingiustizia, non fanno altro che essere un’altra nuova occasione per provare a conservare il potere dei più forti, attirando su di sé i consensi elettorali, preoccupati più per se stessi, nel senso di non perdere fette di consenso e potere, che nel risolvere le questioni reali e concrete.

Questa è la democrazia occidentale di oggi che vogliamo esportare in tutto il mondo, e la sua maggiore preoccupazione: essere eletti per acquistare e conservare potere, a scapito di tutto il resto. E nel frattempo le richieste di giustizia, di pace, di fratellanza non fatto altro che rimanere inevase sotto il manto dell’ipocrisia e dell’interesse privato.