Molti anni fa (ero ancora un ragazzino) un fortunato signore di Milano vinse una cifra stratosferica al totocalcio. I giornali si occuparono a lungo del caso, raccontando tutto del bencapitato, le poche lire spese, la felicità, i sogni, il futuro luminoso. Ma sul futuro i giornali si sbagliarono. Il fortunato signore, perso il senso della realtà, bruciò in poco tempo la sua fortuna, finendo a dormire in un vagone alla stazione ferroviaria, barbone fra i barboni.
Non so perché quella storia mi torna alla mente quando vedo camminare Giggino Di Maio sulle acque del lago di Tiberiade, che sembra un Cristo in adorazione di se stesso. Oddio, lo saprei pure perché, e lo sa chiunque non pensi di camminare sulle acque insieme a lui. Come il vincitore del totocalcio, anche il nostro ministro del lavoro ha vinto una cifra stratosferica giocando pochi spiccioli. Studente mediocre, non ha mai lavorato in vita sua, non ha nessuna competenza in nessuna materia qualsivoglia, parla una lingua che sembra un napoletano riversato in italiano, ma ha giocato la sua schedina al botteghino Grillo-Casaleggio. È vice-premier e si sente sottovalutato, colpa del Berlusconi che non l’ha voluto premier (e meno male…). La sua ignorante prosopopea lo fa sentire una sorta di uomo di Stato, che manco quel buonuomo di De Gasperi. Lui, unto dal popolo.
Ieri ha chiosato il voto favorevole del Senato al cosiddetto decreto Dignità con un roboante “cittadini 1-sistema 0”, un po’ in omaggio allo stadio San Paolo dove vendeva birre, un po’ in omaggio al piano Marshall, pallido antenato del decreto giallo-verde. Ora, scommettendo ad occhi chiusi che il Dignità sarà una discreta mazzata alla nostra economia, si capisce il paragone calcistico: un golletto striminzito dopo quattro mesi di comizi. Approvato lo specchietto per le allodole, arriva la polpa del Contratto siglato con Salvini, il Terrore degli immigrati. Il quale Salvini ha abbozzato sullo specchietto per poi chiedere il conto sulle grandi opere, Tav, Tap e via costruendo, sulle quali la Lega (che del Nord rimane) non potrà cedere di un millimetro, vista la rivolta di amministratori locali e imprenditori contro il Toninelli, un altro ingegnere-economista fuori corso, che non fa in tempo a dire una scemenza che già ne ha dette altre due.
Il bello della diretta (visto che si governa da Facebook e da Twitter) deve ancora arrivare. Di Maio ha due strade: o pagare il conto a Salvini, cosa assai probabile per restare a cavalcioni del governo, o cedere agli stellati alla Toninelli e tornare a vendere birre al San Paolo. Cioè la sua schedina superfortunata non è esattamente in mano sua, ma lui è l’unico che non se n’è accorto. Sarà per questa ragione che gli scappa continuamente da ridere.