
«E Beatrice sospirosa e pia,
quelle ascoltava sì fatta, che poco
più a la croce si cambiò Maria»
(Purgatorio XXXIII, vv.4-6)
Trentatreesimo canto: ci siamo. Il cammino del Purgatorio volge al termine e presto Dante, dopo aver bevuto le acque dell’Eunoè, sarà «rifatto sì come piante novelle rinnovellate di novella fronda, puro e disposto a salire alle stelle» (Purgatorio XXXIII, vv.143-145).
Nel frattempo, però, gli tocca ascoltare un’altra severa quanto oscura lezione di Beatrice che prima sospira amara, insieme alle sette donne, sulla scomparsa del carro, poi si lancia in una profezia ancora oggi di dubbia interpretazione, prosegue quindi ribadendo quanto distante sia l’umano pensare di Dante dai pensieri celesti e conclude invitando Matelda, qui finalmente nominata per la prima e ultima volta, a che lo accompagni fino all’Eunoè.
In particolare, sul «messo di Dio» (v.44), è stato scritto di tutto di più. Beatrice lo indentifica simbolicamente con le cifre «cinquecento diece e cinque» (v.43) che in numeri romani si scrive DXV e di qui le molteplici ipotesi ermeneutiche. Sarebbe anagramma di DUX, duce, e quindi si riferirebbe ad una nuova guida politica, e tanti hanno pensato all’imperatore Arrigo VII. Per altri, invece, DXV sarebbe un acrostico sciolto con le argomentazioni più variegate: Domini Xristi Vertagus («levriero del signore Gesù Cristo»), Domini Xristi Vicarius («vicario del signore Gesù Cristo»), perfino Dante Xristi Vertagus (viva la fantasia!).
Nel mio piccolo, mi limito a pensare che, se Dante avesse voluto essere più esplicito, l’avrebbe fatto. Non lesina di certo nomi e cognomi quando vuole attaccare o elogiare qualcuno. Se, dunque, è rimasto nel vago – così come ha fatto anche per il «veltro» (Inferno I, v.101) – è perché intendeva alludere a ciò in quel momento non era, ma egli sperava dovesse presto essere. Come quando si vede col cuore, ma non ancora con gli occhi. Eppure non si può rinunciare a sperare e attendere. Come quando si anela ad una nuova stagione di giustizia, a un tempo di cambiamento, a un rinnovato equilibrio tra gli uomini e le loro relazioni.
Proprio quello che servirebbe anche oggi. Proprio quanto più ci manca e ci fa sospirosi e pii (v.4), esattamente come Beatrice. E se il suo sospirare è degno di essere paragonato a quello di Maria ai piedi della Croce, il pensiero va alle mamme ucraine che piangono i loro figli crocifissi dalle bombe.
Il pensiero va ad ogni madre che piange.
William H. McMurry III: «Come un aquilone senza corda e una farfalla senza ali, mia madre mi ha insegnato a volare con i sogni».
Audrey Niffenegger: «Pensateci un minuto: nelle fiabe sono sempre i bambini che hanno le avventure più belle. Le madri devono restare a casa e aspettare il ritorno dei bambini che sono volati via dalla finestra».
Lynda Cheldelin Fell: «Così come è impossibile spiegare il parto a una donna che non ha mai partorito, è impossibile spiegare la perdita del figlio a una persona che non ha mai perso un bambino».
Sospiriamo la pace in questo tempo di guerra, sospesi fra la paura del peggio e l’anelito alla serenità. È il lamento di un’unanimità che mai placa i suoi desideri di possesso e poi piange per le sue colpe. Le lacrime rigano gli occhi di chi perde qualcuno o qualcosa, a cui viene lacerato il cuore per una tragedia di affetto o di partenza non scelta… ogni volta gli uomini ricominciano da capo, sembrano ignorare l’esperienza della storia già vista e già vissuta, ripercorrono errori e orrori, mai paghi è sempre più ambiziosi. Ai più non resta che sospirare, piangere e pregare…
La storia
(Di Eugenio Montale)
La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l’ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell’orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.
La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C’è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.
La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s’incontra l’ectoplasma
d’uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.
[…] burella» (Inferno XXXIV, v.98), ha risalito ad una una le cornici del Purgatorio, è arrivato in cima all’Eden ed ora è qui, per noi: in […]