«Però, in pro del mondo che mal vive, 
al carro tieni or li occhi, e quel che vedi, 
ritornato di là, fa che tu scrive»

(Purgatorio XXXII, vv.103-105)

Più ci avviciniamo al Paradiso, più facciamo fatica a seguire Dante, tanto la sua scrittura si fa carica di riferimenti allegorici.

In questo trentaduesimo canto, dopo essersi saziato della vista di Beatrice, Dante osserva che la processione si è rimessa in moto, con una sorta di inversione di marcia, per spingersi verso Oriente. Dante, Matelda e Stazio la seguono finché non s’arresta davanti ad un gigantesco albero a forma di cono rovesciato, ma privo di foglie. Pare sia l’albero di Adamo che in effetti viene nominato. Non appena il grifone vi lega il carro, l’albero rifiorisce e Dante, non saprebbe neanch’egli dirci come, cade in preda ad un sonno profondo.

Al suo risveglio, la scena è cambiata. Il grifone ed il suo corteo lasciano l’Eden per ritornare in cielo, mentre Beatrice invita Dante a fissare con attenzione ciò che sta per accadere così che possa poi scriverne «in pro del mondo che mal vive» (v.103), ovvero per il bene del mondo che vive immerso nel male.

Seguono tre incursioni: di un’aquila che lascia delle sue penne sul carro, di una volpe famelica che Beatrice volge in fuga, di un drago che con la coda arpiona parte del carro e se la porta via. Interpretazione comune: l’aquila e le sue penne sono figura della falsa “donazione di Costantino”, la volpe rappresenterebbe le eresie, il drago lo scisma.

Ma la scena non è finita. Il carro prima si ricopre interamente delle penne lasciate dall’aquila e poi si trasforma sino ad essere occupato da sette corna, allegoria dei peccati capitali, e da essere sormontato da una meretrice che amoreggia con un «feroce drudo» (v.155), il quale scioglie il carro dall’albero e lo trascina insieme alla prostituta nella selva. Il carro coperto di corna rappresenterebbe la corruzione della Chiesa che si è data al potere temporale, la meretrice rappresenterebbe la curia papale e il gigante che porta carro e donna nella selva, sino a sottrarli agli occhi di Dante, sarebbe allegoria di Filippo il Bello e dello scisma di Avignone.

Già a farne un breve riassunto si fa fatica: immaginiamo quanto sia stato arduo concepirlo e scriverlo. Ecco perché, al termine di questa lettura, ho provato a calarmi nei panni di Dante e mi son chiesto: “Ma chi glielo ha fatto fare?”.

In realtà, è una domanda che a tutti, prima o poi, capita di rivolgere: “Chi te lo fa fare?”; o anche: “Chi me lo fa fare?”.

È l’interrogativo tipico di chi vorrebbe scorrere in questa esistenza aggirando gli ostacoli, filando liscio e viscido come l’olio, pur di non farsi nemici e fuggire i problemi. Al contrario, ogni volta che si parla e si scrive, ci si assume responsabilità. Ci si espone a ritorsioni di vario genere, lecite e illecite. Tocca attraversare preoccupazioni.

Dante ne sa qualcosa: la Chiesa e l’Impero che attaccava frontalmente avevano potere di vita o di morte, erano un nemico assai pericoloso. E allora vien spontaneo chiedersi: “Chi glielo ha fatto fare? Non sarebbe stato meglio girarsi dall’altra parte e vivere in santa pace?”.

Ecco, Dante a questa domanda risponde: in pro del mondo… Chi non riesce a star zitto, chi sfida la «puttana sciolta» (v.149) e il suo «gigante» (v.152), quali che essi siano, lo fa perché animato dal desiderio di essere “in pro”, cioè di giovare, di far del bene. Peccato che questo il più delle volte venga preso per un “essere contro”. Ma questa è un’altra storia. Talvolta a lieto fine, ma sempre con un suo prezzo.

Confucio: «Sapere ciò che è giusto e non farlo è la peggiore vigliaccheria».

Gibran: «Donerete ben poco se donerete i vostri beni. È quando fate dono di voi stessi che donate veramente».

Martin Luther King: «La domanda più persistente e urgente della vita è: “Cosa stai facendo per gli altri?”».


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...